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"Io fuggito dal Senato per non votare. Non volevo assistere al suo funerale"

Il senatore Ncd: "Hanno fatto dell'istituzione una sala-giochi per consiglieri regionali"

"Io fuggito dal Senato per non votare. Non volevo assistere al suo funerale"

Roma - Il giorno dopo del Senato è una valle di lacrime. Di coccodrillo. Sentire Matteo Renzi nell'aula di Palazzo Madama porgere al presidente Grasso, «i sensi della gratitudine per l'alto servizio...» è forse l'ultimo oltraggio alla «fu-istituzione». Una riforma suicida, che non è piaciuta a chi l'ha votata obtorto collo né a chi s'è tenuto alla larga come il senatore a vita Renzo Piano. O uno che nel Palazzo è di casa, come il professor Luigi Compagna, figlio del grande meridionalista Francesco. «Lo rimpiangerò, eccome», dice.

Al voto dell'addio lei non c'era.

«Sono fuggito a Firenze. Mi è sembrato più elegante non partecipare al funerale».

Il cuore non le reggeva.

«Avevo messo nel conto persino la chiusura definiva. Ma trasformare l'Istituzione in una sala-giochi per i consiglieri regionali no, m'è sembrato troppo. Un'offesa alla storia d'Italia».

Ne parla come un funerale dei Casamonica.

«Già, è un disegno di una trivialità inaudita».

Non esagera? Un padre della Patria come Napolitano l'ha benedetta, la riforma.

«Benedetta? Concepita. Su Napolitano mi taccio. Ma non posso fare a meno di annotare singolari amnesie. Che il bicameralismo sia stato inserito dai Padri costituenti con un atto di forza, per esempio. E che il Pci fosse contrario. Ho riletto di recente gli atti della Costituente del '47, e i comunisti più trinariciuti si rassegnarono ben volentieri al bicameralismo, anche in considerazione della forza della Dc di De Gasperi...».

Altri furono i colpi di mano.

«Certo. Sul regionalismo, per esempio, cui si opposero fieramente Croce, Einaudi, Nitti, La Malfa... Fu una delle idee più assurde che scaricò sulle presunte “ autonomie locali ” la possibilità di una spesa pubblica fuori controllo. Problemi accentuati nel '70 e nel 2000. Come ebbe a dire Cossiga, abbiamo avuto almeno tre regioni - Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna - che hanno giocato al socialismo reale a spese del capitalismo avanzato. Un welfare all'italiana...».

Lei sostiene l'esistenza di un filo che lega Gramsci a Marino, al nuovo Senato...

«Con questo dopolavoro regionalista, dall'articolato che sembra un regolamento di condominio, giunge al culmine questa folle accezione dell'autonomia. Che affonda le radici nella persistenza di quella chiavica della storia patria che viene definita “ società civile ”... Nel contempo si va verso un'idea iper-maggioritaria, il mariosegnismo ci porta dritti verso l'autoritarismo».

In che senso, scusi?

«Che la società civile è la negazione dello Stato di diritto; è l'idea che la maggioranza urlante domina, è lo strapotere delle jacquerie . È la massa ignorante che Gramsci intendeva far diventare proletariato e che risiede oggi nella retorica che porta alle primarie e ai sindaci “ voluti dai cittadini ”. Avete voluto Marino? Godetevelo!».

Se è per questo abbiamo anche il sindaco di Firenze assurto a «sindaco d'Italia».

«A volte ho votato la fiducia, molte altre no. Non mi sono mai dissociato dalla libertà e dalle idee liberali di centrodestra. È chiaro che anche lui è frutto di questo slittamento... E si muove spesso con grande improvvisazione. Non ha nessuna idea di quel che fa».

Dopo tante bagarre , ieri ha ringraziato Grasso, combattuto per tutta l'estate.

«Grasso è stata l'ultima cattiveria fatta a questa Istituzione. Ha gestito come peggio non si poteva il dibattito, il suo ripugnante “ canguro ” ha umiliato ogni idea costituente. Inutilmente appesantito dal peso di se medesimo, sembra considerare quella parlamentare una vicenda minore nella storia del mondo.

In special modo rispetto all'esercizio dell'azione penale».

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