Magistratura

"Le sentenze? Inutili". Gli aforismi di Davigo quando era inquisitore

L'ex magistrato diceva che si è colpevoli anche senza aspettare i tre gradi di giudizio

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Non c'è solo la celeberrima frase paradigma della filosofia della «presunzione di colpevolezza»: «Non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti». Il Davigo pensiero sulla giustizia si ritrova in decine di dichiarazioni tranchant. E ora che l'ex magistrato con il gusto per l'aforisma, cioè l'inflessibilità fatta persona, è diventato un condannato (in primo grado), quelle parole possono essere usate contro di lui.

Doveroso partire dalle dichiarazioni, è il maggio del 2017 a di Martedì, sulla violazione del segreto in un'indagine. Perché proprio per il reato di rivelazione di segreto d'ufficio a Piercamillo Davigo è appena stata inflitta dal Tribunale di Brescia una condanna, con pena sospesa, a un anno e tre mesi. «Una delle questioni che trovo stravagante - diceva l'ex pm di Mani Pulite tra gli applausi dello studio - è che ogni volta che si discute di qualche fatto sconveniente, la prima reazione sia il lamentarsi della violazione del segreto, anche quando non c'è». Argomentava il Dottor Sottile: «Quando le intercettazioni sono depositate ai difensori, non sono più segrete. Ma il punto è: se domani un giornale scrive in prima pagina Davigo è un ladro, posso mai dire grave violazione del segreto?... Cioè, sono un ladro ma non si deve sapere?... Devo dire che non è vero!». Come dire che è un'ipocrisia concentrarsi sul dito della violazione del segreto, dimenticando la luna del reato di cui si parla. E pazienza se rivelando un segreto istruttorio, come è accusato di aver fatto Davigo, si viola una legge. Non ci sono problemi poi se la persona alla fine viene assolta ma nel frattempo è finita appunto in prima pagina come delinquente. Perché per l'ex consigliere del Csm, « in Italia il danno reputazionale non c'è. Quando uno viene preso a fare qualcosa che non si fa, di solito fa carriera».

Sempre sulla linea dell'inflessibilità del sistema che un tempo amministrava e sull'utilità della repressione Davigo sosteneva anche che «non ci sono troppi prigionieri, ci sono troppe poche prigioni». La cella come strumento di pressione? «Nessuno viene messo dentro per farlo parlare, viene messo fuori se parla, che è una cosa diversa». E a proposito dei riti alternativi al carcere: «La secolarizzazione dell'indulgenza plenaria dà luogo all'amnistia, all'indulto, ai vari condoni. Con una differenza: la Chiesa esige il pentimento, lo Stato no».

Dopo la condanna del Tribunale il magistrato in pensione ha subito annunciato di voler fare appello. I tre gradi di giudizio gli sembreranno benedetti ora. Anche se in passato ha lasciato intendere che non fossero esattamente un caposaldo per lui: «I politici che delinquono vanno mandati a casa senza il bisogno di attendere il giudizio definitivo». Quei politici che, manco a dirlo (è il 2016), «non hanno smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsi». E ancora: «L'errore italiano, secondo me, è stato proprio quello di dire sempre: Aspettiamo le sentenze. No, non aspettiamo le sentenze. Se io invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire da casa mia con la mia argenteria nelle tasche, per invitarlo a cena non sono costretto ad aspettare la sentenza della Cassazione, smetto subito d'invitarlo a cena ».

Giudizio definitivo o no, anche per Davigo varrà il principio che lui stesso pronunciò a proposito della assoluzioni di Berlusconi: «Su questo si pronunceranno gli storici, quando le passioni saranno spente».

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