Cronache

Senza biglietto? Giù dal treno. Condannato il controllore

Sentenza choc per il capotreno veneto: ferma un nigeriano e deposita a terra le valigie. Punito per violenza privata

Senza biglietto? Giù dal treno. Condannato il controllore

È il mondo capovolto. Sembra una fiction dell'assurdo, ma è la realtà andata in scena in una stazioncina del NordEst. Lui, il capotreno, fa scendere dal convoglio un «portoghese» senza biglietto, per la cronaca un nigeriano. Risultato: insulti, botte e ora pure la condanna per tentata violenza privata. C'è da stropicciarsi gli occhi: una specie di apologo dell'Italia che non va, di un Paese che fra cavilli e buonismo perde dignità e si sottomette alla legge del più forte.

La storia, per come possiamo ricostruirla, e più o meno questa: siamo a Santa Giustina Cesiomaggiore, un puntino sulla Belluno-Padova. È il 12 dicembre 2014. Il regionale si ferma e il capotreno scorge sulla banchina una vecchia conoscenza: Anyanwu Festus Amaechi, nigeriano, affezionato a quella tratta. Un rapido controllo e si scopre che il biglietto non c'è. L'africano resta a terra, il pubblico ufficiale fa di più: telefona al collega che viaggia sul treno successivo, mettendolo in guardia. Amaechi ci riproverà, perché per lui, e non solo per lui, il biglietto è un optional di cui si può fare a meno. Andrea Favaretto, questo il nome dello sventurato, si prepara all'appuntamento. Ma il nigeriano, quando le porte si aprono, gioca d'anticipo: sale col cellulare incollato all'orecchio, come fosse un businessman troppo impegnato per occuparsi di modeste quisquilie. Favaretto però non molla. Chiede il pezzo di carta che non salta fuori o se c'è non è valido, poi passa all'azione: prende la valigia del nigeriano, forse un borsone, e la deposita a terra. L'altro è costretto a scendere, ma non si arrende: estrae un biglietto, evidentemente da utilizzare solo in occasioni del genere, e corre ala macchinetta per timbrarlo. Favaretto però gli sbarra la strada e, a quanto pare, gli grida: «Se sali, ti denuncio». Frase incriminata, come incriminata è la discesa forzata della valigia.

Insomma, vale la solita, vecchia banalità: il capotreno avrebbe fatto bene a farsi gli affari suoi. La storia non è ancora finita: il nigeriano, a quanto sembra, allunga alcuni calci colpendo il pubblico ufficiale alle gambe. I dettagli non sono facilmente verificabili, anche perché intanto Amaechi ha tagliato la corda o comunque non è più in Italia. Sparito.

Favaretto denuncia il passeggero furbetto, ma non sa che è lui a essere sotto processo. La procura di Belluno gli contesta, nientemeno, la tentata violenza privata. In aula l'uomo si difende: cita un articolo del regolamento che gli dà la facoltà di allontanare chi disturba o non si comporta in modo corretto. In più fa notare che la timbratura è avvenuta dopo il parapiglia, non prima, come si ricava, orologio alla mano, confrontando tutti i passaggi della discussione.

Il tribunale la pensa diversamente: condanna Favaretto a 20 giorni per tentata violenza privata più il pagamento delle spese legali. Non basta. Il giudice si supera trasmettendo gli atti alla procura di Belluno per valutare un eventuale abuso d'ufficio. Sbalorditivo. Non uno ma due possibili reati per un servitore dello Stato che ha fatto, non è retorico affermarlo, solo il proprio dovere.

Amaechi dovrebbe essere giudicato a sua volta per lesioni, ma chissà dove è finito.

«Ma vi sembra normale?», tuona indignato Matteo Salvini. Il governatore del Veneto Luca Zaia parla invece di «sentenze incomprensibili per la gente comune». E aggiunge: «Il vero problema di questo Paese sono le leggi colabrodo» che portano a situazioni del genere. Il mondo capovolto.

Lo Stato che perde la faccia e si appiattisce come un tappetino davanti alle piccole prepotenze.

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