Politica

Seul, giallo sulla spia suicida che usava il software italiano

Uno 007 sudcoreano si toglie la vita in circostanze misteriose Gli intrecci con la Hacking Team, finanziata con soldi nostri

L'agente segreto «suicidato» con un biglietto a fianco è un classico dello spionaggio così scontato che in un romanzo ormai suonerebbe scontato. Il giallo italiano di Hacking Team però è realtà, una realtà piena di lati oscuri. L'ultimo è la morte misteriosa di un uomo del Nis, il servizio segreto della Corea del Sud. Di lui si sa il nome, Lim, e la qualifica: esperto di cyber security. Che è proprio la materia di cui si occupa la società milanese al centro di un vero intrigo internazionale, sebbene non mancante di dettagli «all'italiana», come i rapporti con le istituzioni all'insegna di una certa approssimazione.

Il Nis sarebbe uno dei tanti servizi segreti stranieri che ha acquistato il Remote Control System, cioè il software dell'azienda italiana in grado di installarsi in modo invisibile su pc e smartphone e spiarne tutte le attività, dalle mail alla messaggistica e perfino di attivare microfono e telecamera a distanza.

Per capire come mai la morte di Lim stia creando scompiglio da Seul a Roma, bisogna leggere le dure reazioni politiche dei partiti d'opposizione coreani dopo che i 400 Giga di dati della Hacking System sono finiti su Wikileaks, incluse le email con cui la società guidata da David Vincenzetti contrattava con un intermediario, la Nanatech, la vendita del software spia a una fantomatica «5163 Army Division». Secondo il Korean Times , è un nome di copertura usato dagli 007 di Seul quando operano all'estero. Il software sarebbe stato acquistato per 760.000 dollari nel 2012, proprio l'anno in cui ci sono state le elezioni sudcoreane, allo scopo di intercettare le comunicazioni di «Kakao Talk», il sistema di messaggistica stile Whatsapp usato da 35 milioni di persone nel Paese asiatico. Di fronte alle proteste politiche, i servizi coreani hanno fatto trapelare che avevano usato il «trojan» solo per spiare i nemici della Corea del nord, e non i propri concittadini. La stessa versione che Lim avrebbe scritto sui tre fogli trovati nell'auto insieme al suo corpo senza vita e a materiale bruciato. Un suicidio, secondo le autorità, che però lascia spazio a molti dubbi, così come la mossa di Lim di cancellare i dati delle operazioni effettuate con il software italiano. Una ricostruzione che non convince le opposizioni coreane. E nemmeno quelle italiane.

Perché lo sviluppo coreano è solo l'ultimo mistero di questa storia. Che gli Stati spiino sconvolge solo gli ipocriti. Che un'azienda italiana venda software a mezzo mondo, inclusi Paesi tecnologicamente avanzati come la Corea, potrebbe addirittura inorgoglirci. Ma non è chiaro quanto lo Stato controllasse un'azienda che è sì privata, ma è partecipata da Finlombarda (finanziaria della Regione Lombardia) ed è accusata di aver venduto il software a regimi che con la democrazia hanno poco a che fare, come Etiopia e Sudan.

Proprio i legami con Khartoum hanno fatto scattare l'interesse dell'Onu, che ha sottoposto a sanzioni il governo di Omar al-Bashir. Stando alle email pubblicate su Wikileaks, solo dopo il pressing dell'Onu, iniziato a dicembre 2014, il Ministero per lo Sviluppo economico applica ad Hacking Team limiti alle esportazioni solitamentedestinati a chi produce materiale che può avere un duplice uso, civile e militare. Ma l'azienda è attiva nel campo già nel 2003 e nel 2004 vende il software alla polizia postale italiana. Oltretutto, dalle email pubblicate su Wikileaks, si capisce che dopo l'intervento del Mise la società milanese si dà un gran da fare per cercare contatti nella burocrazia italiana. Obiettivo, risolvere l'intoppo che rischiava di limitarne le attività di export all'origine dell'80% del suo fatturato.

Possibile che un'attività così delicata, e finanziata anche con fondi pubblici, sia avvenuta per dieci anni senza una supervisione adeguata dello Stato? Vari esponenti di Forza Italia, da Malan, a Romani, a Santanché, chiedono alla commisione di controllo dei servizi segreti e al governo, in particolare al sottosegreetario Marco Minniti, di riferire in Parlamento. Il rischio è che alla fine, ancora una questione di interesse strategico sia risolta in Procura.

I pm di Milano hanno già indagato sei ex dipendenti infedeli della Hacking Team e ascoltato i vertici della società.

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