Cronache

Da Seveso a Fukushima quando la paura è nell'aria

Senza impresa niente occupazione. Ma la salute? Tutte le volte che i «mostri» hanno fatto strage

Da Seveso a Fukushima quando la paura è nell'aria

Ci sono luoghi al mondo dove esiste, ed esisterà per sempre, un prima e un dopo; dove uno spartiacque della storia taglia in due la memoria della gente ma anche dei terreni, delle piante e dell'aria. Per la gente di Ludwigsahfen e di Lampelstein sarà per sempre la data del 17 ottobre 2016, ieri: quando il gigante Basf, finora per le due città sinonimo di lavoro e benessere, inizia a sprigionare gas e paura. Per chi abitava a Seveso, nelle case intorno all'Icmesa, la data è il 10 luglio 1976. Per la gente di Bhopal, ottocento chilometri a sud di Delhi, è il 3 dicembre dell'84. Per quella di Kawauchi-mura, di Namie-machi e delle altre cittadine intorno alla centrale di Fukushima, l'11 marzo 2011. A Chernobyl, in Ucraina, la storia si spezza in due il 26 aprile 1986, quando il reattore numero 4 della centrale nucleare esplode.

Sono storie tutte diverse, eppure in qualche modo tutte uguali: perché è facile leggere dentro ciascuna di esse le tracce della inesauribile spensieratezza dell'uomo quando lo prende la febbre di lavorare e di accumulare, e di fronte alla frenesia della produzione passa tutto in sottordine. È un ottundimento delle cautele che non sempre si può spiegare con la spietatezza del capitalismo di rapina, quello che in India fa piazzare la fabbrica di pesticidi della Union Carbide tra le case di Bhopal; anche nei paesi ricchi spesso anche chi vive intorno al mostro pronto ad esplodere guarda al mostro con fiducia, perché lì si timbra il cartellino, lì si trova da campare. Proprio come ieri a Ludwigsahfen a Lampelstein, nelle comunità sorte intorno ai capannoni accoglienti della Basf.

A Meda, nei reparti della Icmesa, costola italiana del colosso Givaudan, lavorava anche tanta gente di Seveso, che sta appena più a sud: e alle 12.37 di quel sabato di luglio, quando l'avaria di un reattore chimico iniziò a sputare diossina nell'aria, furono forse i primi a non rendersi conto delle conseguenze terribili di quanto stava accadendo. L'azienda, invece, aveva tutti i mezzi per comprenderlo: ma lanciò l'allarme solo una settimana dopo, quando la diossina portata dal vento si era posata ormai sui campi, sulle beste e sulle persone. Non morì nessuno, ma un intero pezzo di Lombardia divenne inabitabile, e le conseguenze sulla salute degli adulti, e soprattutto dei bambini e persino dei nascituri, furono incalcolabili. Oggi a Seveso un bosco di querce sorge sopra le vasche dove vennero scaricati i terreni infetti: ma a più di quarant'anni è ancora indispensabile tenere sotto controllo le vasche, perché nessuno sa davvero quali reazioni vi avvengano.

Chimica e nucleare: da sempre, è su questi fronti che la produzione umana incarna gli incubi peggiori, ed inevitabilmente è in un unico libro nero che finiscono le tragedie ambientali da entrambi prodotti. E poco conta che siano scenari profondamente diversi, perché il nucleare vive un suo tran tran di gigawatt sereni, produce energia pulita, ma quando salta produce catastrofi planetarie: per incuria umana, come a Chernobyl, o sotto la furia incontenibile degli elementi, come quando lo tsunami investe la centrale di Fukushima.

La chimica invece si porta da sempre addosso il sospetto e il marchio dei veleni, perché produce fumi visibili e odori acri, e bisogna avere grande fiducia nei tecnici per credere che quelle puzze non siano nocive. Anche la chimica è capace di esplosioni furibonde e devastanti, come a Seveso, e ancora peggio come quando a Bhopal il misocianato di metile viene sputato in cielo dai reattori, e uccide tremila persone. Ma a differenza delle centrali atomiche a fare paura è anche l'inquinamento silenzioso, quotidiano, quello che fa sentire i suoi effetti dopo decenni a Cengio o a Casale Monferrato.

Anche quelle dei tumori al seno e ai polmoni sono stragi da lavoro, anche se non fanno il botto come a Fukushima o a Bhopal: e anche dietro di esse, in controluce, si vede lo stesso demone dell'accumulare, senza sosta né limiti, sulla pelle del mondo, degli altri, e persino di noi stessi.

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