Cronache

Si fa la piega nel suo salone: parrucchiera multata

Accusata di evasione, sanzione di 500 euro. L'ultima follia di uno Stato forte solo coi deboli

Si fa la piega nel suo salone: parrucchiera multata

Ormai si sfiora il ridicolo. È vero che l'Italia sia la patria del melodramma, ma certi episodi di rigidità mentale e di pedissequa osservanza delle norme, peraltro assurde, hanno i contorni grotteschi. Stiamo parlando del Stato, naturalmente, e dei blitz della Guardia di Finanza, che è costretta a fare cassa su mandato del fisco. Oramai abbiamo perduto il conto di tutte le multe scaturite dalla fantasia della burocrazia e comminate con zelo dagli agenti che devono compiacere un moloch vorace. Si potrebbe scriverne un libro. Ma ci limitiamo a raccontare l'ultimo caso in ordine di tempo, accaduto a Lecco a una parrucchiera. La signora Mara Lucci, titolare di un salone, è stata sanzionata dalla Guardia di Finanza per essersi fatta la piega nel proprio esercizio senza emettere lo scontrino. Non stiamo scherzando. Se voi avete un'attività commerciale, per esempio un bar, una pasticceria, una salumeria eccetera non potete assolutamente permettervi di bere un caffè, mangiare una pastina oppure un panino col prosciutto anche se appartengono a voi. Il motivo? La normativa sull'autoconsumo che impone, anche al titolare dell'attività, di emettere la fattura o lo scontrino fiscale. Non sappiamo cosa passasse per la testa del creativo legislatore quando ha avuto la brillante ideona, ma sta di fatto che questa è la sconsolante realtà. A questo punto, pensiamo che per qualsiasi pubblico esercente sia più conveniente andare a prendere un caffè, una pasta o un panino dalla concorrenza e non nel proprio esercizio perché, a conti fatti, gli costerebbe meno che autoemettere lo scontrino.

La parrucchiera di Lecco, probabilmente ignara di questa vessazione di Stato, ha pensato di farsi la piega nei tempi morti dell'attività, fra una cliente e l'altra. E, senza rendersene conto, è diventata un pericoloso evasore fiscale, tanto da ricevere dai solerti finanzieri una multa di 500 euro. Quando le hanno contestato la violazione, ha pensato a uno scherzo, ma i toni degli agenti l'hanno subito stroncata, facendola sentire una disonesta. La signora Lucci è scoppiata in lacrime e ha invocato inutilmente il buon senso. Il buon senso? È un termine bandito nei dizionari dello Stato italiano, la cui voracità ha ormai raggiunto livelli insostenibili. Quello che sembra un caso di cronaca locale è invece il paradigma di un Paese intero, dove il cittadino è un suddito che deve piegarsi ogni qualvolta un burocrate, da Roma o Bruxelles, imponga norme incomprensibili, contradditorie, in antitesi con il buon senso. Una tirannia subdola e vendicativa. Sembra di vivere in un romanzo di Orwell.

E così lo Stato despota, che ci impone di giustificare come spendiamo i nostri soldi quando dovrebbe essere lui a spiegare come spende i nostri, invece di andare a caccia di grandi evasori, di coloro che sfruttano il lavoro nero minacciando la previdenza pubblica, dei possessori di grandi patrimoni al di là dei confini, spreme i cittadini-sudditi. E se la prende con una parrucchiera di Lecco o con un barista di Albisola Superiore, che si è bevuto un caffè nel proprio bar, costatogli 500 euro; perseguita un cafè restaurant di Carpi perché il titolare ha evaso 95 centesimi non emettendo scontrini e lo bastona con una multa di 2.400 euro; sanziona pesantemente un imprenditore di San Donà di Piave perché ha scaricato con il carrello elevatore, che non ha la targa, un camion a un metro dall'azienda e non dentro la sua proprietà.

Insomma, smettiamola di definire ipocritamente questi episodi come «lotta all'evasione», questa si chiama semplicemente persecuzione fiscale.

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