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Si spegne il forno del Pd Renzi si chiama fuori: "Adesso facciano loro"

L'ex segretario si sfila sarcastico: "Tocca ai vincitori. Vediamo se saranno in grado"

Si spegne il forno del Pd Renzi si chiama fuori: "Adesso facciano loro"

In mattinata il Pd inizia a litigare su chi dovrà gestire le trattative per il governo con la Casaleggio e i suoi inviati, perché lì sembra si vada a parare. La minoranza interna si scatena a chiedere direzioni e congressi: il segnale che li allarma l'idea che sia Matteo Renzi a condurre le danze.

Il pomeriggio, invece, tutti davanti alla tv alcuni con i popcorn ad assistere al balletto di messaggi e segnali di fumo tra Lega e Cinque Stelle. E a sera Renzi, nella sua enews (vergata al Senato, in uno studio poco lontano da quello della «esploratrice» Casellati) rilancia lo slogan che ripete dal 4 marzo: «Tocca ai vincitori fare un governo, se sono capaci». Certo, aggiunge il capogruppo Graziano Delrio, «quando ci sarà un incaricato noi ci siederemo al tavolo, anche se fosse un pentastellato». Ma, sottolinea, le «distanze» restano enormi, e il Pd non farà concessioni. Dopo le dichiarazioni serali di Di Maio, Ettore Rosato resta convinto che «il patto col centrodestra oggi ha fatto un passo avanti: Di Maio ha fatto cadere il veto contro Forza Italia, in cambio della garanzia di andare lui a Palazzo Chigi. E quello che è in corso è solo un balletto tattico sulla pelle degli italiani, con cui si oscura il fatto che i Cinque Stelle hanno appena sdoganato Berlusconi». Il fronte renziano intravede uno scenario da sogno: Lega e Forza Italia al governo con Di Maio, e il Pd con il monopolio dell'opposizione. Tanto che Renzi si sbilancia persino ad annunciare la convocazione per l'autunno di una nuova Leopolda.

Il film della mattinata appariva assai diverso: il secondo forno, quello dem, pareva essere l'unico rimasto in piedi. E forze di ogni genere erano in movimento per spingere all'intesa di governo sinistra-grillini: da Veltroni a Prodi, da Repubblica a Napolitano, di cui è annunciata per domenica un'intervista tv: «E vedrete se non lancerà un severo ultimatum al senso di responsabilità del Pd», preconizzavano dal Pd. Ma la vera questione era subito diventata un'altra: se si apre la trattativa, chi la conduce? «Solo Renzi può farlo, e tenere la barra di una linea dura che per noi sarebbe vincente in ogni caso», ragionava l'orfiniano Fausto Raciti, spiegando: «Se bussano alla nostra porta, noi dobbiamo porre condizioni politiche serie: a cominciare dal fatto che il premier non può essere Di Maio ma deve essere un personaggio neutro».

Ma l'idea di un Renzi in campo, a guidare di nuovo le danze (magari per far saltare ogni accordo), atterrisce il fronte anti-renziano. Che subito chiede, tramite Orlando e Cuperlo, la convocazione di una Direzione in cui tentare di ribaltare la maggioranza interna ed estromettere l'ex premier.

A sera però i riflettori sono di nuovo puntati a destra, e al Pd non resta che seguire da spettatore le convulsioni della crisi.

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