Cronache

Quel silenzio (complice) dei sindacati

Snals: «Danneggiati dallo scandalo. Faremo un comunicato molto duro»

Quel silenzio (complice) dei sindacati

C'è un silenzio assordante che sta accompagnando lo scandalo dei «professori imbroglioni» appena scoperchiato a Firenze, ma tristemente endemico in tutta Italia. I sindacati che operano nel mondo dell'istruzione, non hanno nulla da dire? Perché a 48 ore dal pentolone scoperchiato di «Universopoli» nessuno si è sentito in dovere di «diramare una nota» contro i baroni delle clientele? Lo Snals (il sindacato più rappresentativo nella scuola), interpellato dal Giornale, tiene a precisare di «sentirsi parte lesa e di essere al lavoro per stilare un comunicato molto duro». Se ciò accadrà, sarà sempre meglio tardi che mai. Si sbilancia un po' di più invece Giuseppe De Nicolao, in rappresentanza dell'associazione Roars composta da ricercatori e docenti universitari: «Il caso di Firenze non ci sorprende. I rettori sono dei piccoli monarchi. Il sistema italiano accentra il potere ed è aggirabile». Il tutto si inquadra in uno scenario drammatico, come evidenziano i professori Stefano Allesina e Jacopo Grilli: due ricercatori nostri connazionali autori (all'Università di Chicago) di uno studio sul nepotismo negli atenei del Belpaese. Allesina e Grilli si sono concentrati sulle facoltà di Medicina e Chimica, ma non sono nuovi a questo tipo di indagine: nel 2011 avevano pubblicato un altro dossier, dimostrando come alcune discipline (Giurisprudenza, Agraria e Ingegneria) mostrassero la «presenza sospetta di identici cognomi». Si tratta degli stessi cognomi relativi a rettori, professori e altre «figure apicali». «La ricerca aveva causato un certo scalpore in Italia - ricorda Allesina - anche perché la pubblicazione era avvenuta immediatamente dopo la riforma Gelmini». Sulla cui efficacia i giudizi restano però discordanti. «Oggi assistiamo a un fenomeno di vecchio malcostume combinato a una nuova forma di baronaggio accademico, cioè proprio quei bubboni cui la nostra riforma del 2010 aveva cercato di porre un freno», sottolinea l'ex ministro della Ricerca, Mariastella Gelmini. Ma, al di là delle buone intenzioni, il «virus del familismo» non è stato debellato. La conferma viene pure dal presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone: «Siamo subissati di segnalazioni su questioni universitarie, soprattutto sui concorsi con cui vengono distribuiti cattedre e incarichi. C'è un grande collegamento, enorme, tra fuga di cervelli e corruzione». Approvata durante il primo governo Berlusconi, la riforma Gelmini ha introdotto il divieto di assumere nello stesso dipartimento parenti e affini fino al quarto grado di docenti già in ruolo. Secondo il giudice Cantone, la riforma di sette anni fa avrebbe addirittura peggiorato le cose. Motivo? «Quel testo di legge è come se avesse istituzionalizzato il sospetto. Mi spiego meglio: l'idea che non ci possano essere rapporti di parentela all'interno dello stesso dipartimento, ha portato a situazioni paradossali». Un esempio? «In una università del Sud è stato regolarizzato uno scambio intollerabile: in una facoltà giuridica è stata istituita una cattedra di storia greca e in una facoltà letteraria una cattedra di istituzioni di diritto pubblico. Entrambi i titolari erano i figli di due professori delle altre università. Uno scandalo.

L'ennesimo.NiMat

Commenti