Guerra in Ucraina

Il siluramento del generale Gavrilov specchio di un'invasione mal riuscita

"Dimissionario" il vice comandante della Guardia nazionale, finita in prima linea in Ucraina ma protagonista di un fallimento

Il siluramento del generale Gavrilov specchio di un'invasione mal riuscita

Non è un alto ufficiale come gli altri. E i suoi guai dicono parecchio sull'operazione ucraina e sul clima tra gli uomini più vicini a Vladimir Putin. Ufficialmente il generale Roman Gavrilov è dimissionario, ma sui giornali si è parlato di messa in stato d'accusa e addirittura di arresto. Le accuse trapelate: aver diffuso informazioni e sprecato materiale (combustibile) che ha condotto alla perdita di vite umane. Questo almeno secondo le indiscrezioni che davano conto del malcontento del Cremlino per l'andamento dell'«operazione militare speciale».

Gavrilov non è un generale dell'esercito ma della Rosgvardiya, la Guardia nazionale, la milizia che Putin si è costruito su misura nel 2016, facendola dipendere direttamente dal Cremlino e affidandola alla sua ex guardia del corpo dei tempi di San Pietroburgo, Viktor Zolotov.

Gavrilov è uno dei vice di quest'ultimo. Anzi, è l'«addetto alle pulizie», come l'ha definito Andrei Soldatov, uno dei maggiori conoscitori delle forze di sicurezza russe, incaricato di intervenire nei casi più delicati e nel portare a termine le «epurazioni» più dolorose.

Da braccio destro del capo, Gavrilov ha avuto un incarico di primo piano anche in Ucraina. Ma proprio la presenza massiccia della Guardia nazionale nell'invasione mette in luce le contraddizioni dell'operazione. La Guardia nazionale (circa 400mila uomini) è specializzata in compiti di ordine pubblico (è lei che nelle città russe reprime le proteste contro la guerra) e anti-terrorismo, anche se al proprio interno ha alcuni reparti di assalto (come Omon o le cosiddette Sobr, Unità speciali a risposta rapida). In linea di massima, però, il suo impiego poteva essere giustificato soprattutto nella gestione di disordini tra la popolazione civile. È quello che è successo nei giorni scorsi a Kherson, conquistata dall'esercito e poi affidata alla Rosgvardiya, che ha effettuato tra la popolazione ucraina circa 400 arresti.

Nei primi giorni della guerra, però, in prima linea è finita anche la Guardia Nazionale. La mancanza di addestramento, i mezzi inadeguati, e, secondo alcuni, una mancanza di coordinamento con il resto delle forze armate (che dipendono dal Ministero della Difesa) ha finito per provocare perdite altissime (emerse in un filmato comparso sulla Rete in cui i parenti di alcuni soldati se la prendevano con il governatore di una regione siberiana in cui la Rosgvardiya ha uno dei centri di coordinamento). «L'impiego della Rosgvardiya è stato un completo fallimento in termini di strategia militare», ha spiegato Ruslan Leviev del Cit, Conflict Intelligence Team. Da notare, tra l'altro, che il militare più alto in grado fatto prigioniero dagli ucraini e mostrato in una confessione pubblica di fronte alle telecamere, un tenente colonnello, appartiene proprio alla Guardia nazionale.

Gli errori compiuti dalla Rosgvardiya in Ucraina, sono ancora più significativi se si considerano i suoi compiti interni. La Guardia nazionale e il suo capo, Zolotov, ha scritto in questi giorni su Gulagu.net il dissidente Vladimir Osechkin, sono «una sorta di scudo contro i colpi di Stato a palazzo». Uno dei motivi della stabilità di Putin è la moltiplicazione delle forze di sicurezza ottenuta anche grazie alla creazione di una struttura come Rosgvardiya, gestita senza alcuna mediazione ministeriale o burocratica. Tanto più se a guidarla è un «signorsì» da 30 anni fedele sino al fanatismo come Zolotov. Nella riunione del Consiglio di sicurezza ripresa dalla tv prima dell'invasione pronunciò le parole più dure: «gli ucraini sono solo vassalli degli americani, li stanno riempiendo di armi ... dobbiamo muoverci per difendere il nostro Paese».

Ora le dimissioni di Gavrilov toccano anche lui.

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