Cronache

Simone, Tamara e l'impresa solo sfiorata: "Dopo quel crepaccio, ci siamo abbracciati"

I due volevano realizzare il concatenamento di due 8mila in Pakistan

Simone, Tamara e l'impresa solo sfiorata: "Dopo quel crepaccio, ci siamo abbracciati"

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Dovevano realizzare il concatenamento di due ottomila, impresa mai riuscita in inverno, e invece hanno concatenato le loro vite, salvandosi a vicenda. Tamara Lunger e Simone Moro, dopo la tragedia sfiorata ai piedi dei due giganti del Karakorum pakistano, sono per antonomasia una cordata vera. Addio ai due Gasherbrum: lui il record man degli Ottomila in invernale, lei, la principessa del freddo che ora scrive sui social «Sono triste e riflessiva».

Bentornati alla vita e presto a casa. Va bene così: un Ottomila è per sempre, un errore anche. I due alpinisti erano partiti per il Pakistan il 18 dicembre, poi un lento trekking verso il campo base. Una tenda, un cuoco, qualche fornello elettrico e un oceano di ghiaccio da navigare a vista. Bandierine da fissare, corde, ramponi, pazienza e sguardo aguzzo: in poco più di un mese Tamara e Simone sono riusciti a tracciare una via che dal campo base superasse la seraccata che si impennava verso un pianoro dove avrebbero piazzato i campi superiori. «Un dedalo di ghiaccio»: il loro resoconto arrivava puntuale su social, compreso lo scoramento per alcuni crepacci troppo grandi da aggirare.

Pochi centimetri di legno come gli stivali delle sette leghe, per vincere finalmente quegli ostacoli. Due giorni fa la partenza verso i campi alti. Avanti, con le ciaspole, Tamara batte la via. Dietro Simone. Ad ogni crepaccio, un balzo. Tutto in sequenza finché Tamara si sente trascinare indietro. Simone è stato inghiottito da un crepaccio. «Il ponte di neve ha ceduto», spiega lui, che si ritrova a testa in giù a precipitare. Tamara ha una mano strozzata dalla corda e dai 90 chili di Moro con zaino; le ciaspole ai piedi non lavorano bene come se avesse i ramponi. Eppure riesce ad ancorarsi e a «tenere» la presa. Intanto Simone, sbattuto e contuso, piazza un chiodo nel ventre della montagna e risale 20 metri con le piccozze. «Quando ci siamo ritrovati, ci siamo abbracciati». Lui non si è perso d'animo, lei è stata fondamentale, come nel 2016 sul Nanga Parbat quando, rinunciando alla cima per sfinimento, ha poi fatto luce con una flebile pila ai compagni nelle lunghe ore del rientro. Lunger e Moro sono stati evacuati in elicottero a Skardu, grazie agli accordi stretti con un alpinista bergamasco. In ospedale oltre a botte e contusioni, Tamara non ha ancora riacquistato l'uso di tutte le dita.

La spedizione si interrompe, il sogno no. Per questa nuova impresa i due si erano preparati con una forma innovativa di acclimatamento in Italia, in una camera ipobarica a Bolzano, dove erano state ricreate le condizioni del tetto del mondo. La paura e l'imprevisto no: a quello Moro e Lunger sono da sempre abituati.

Anche così hanno trovato la strada del ritorno.

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