Cronache

Il soldato Usa che disertò e scelse la Nord Corea: "Io, il più stupido di tutti"

Nel '65 fuggì a Pyongyang per evitare il Vietnam. Visse 40 anni sotto il regime: "Feci una follia"

Il soldato Usa che disertò e scelse la Nord Corea: "Io, il più stupido di tutti"

Sull'isola di Sado, nel mar di Giappone, si segnala la morte di Charles Robert Jenkins, americano di anni settantasette. Un colpo al cuore ha concluso la sua vita. Una vita strana, imprevedibile, posso dire folle. Jenkins era un sergente dell'esercito americano impegnato di pattuglia alla frontiera tra le due Coree. I giorni di quel gennaio del Sessantacinque tormentavano Jenkins che trascorreva il tempo con il cattivo pensiero di dover raggiungere gli altri suoi amici sul fronte della guerra in Vietnam. Aveva paura della giungla, del nemico invisibile, di morire inutilmente, dentro un conflitto, per lui, ugualmente inutile. Aveva voglia di tornarsene nella sua dimora della Nord Carolina, in Rich Square. Incominciò a pensare allo stratagemma: mi consegno al nemico e questo mi userà come merce di scambio con qualche commilitone sovietico e da Mosca mi rispediranno in America. Verrò punito ma alla fine sarò libero. Passò, dunque, la DMZ, la Zona Demilitarizzata coreana, in breve il confine, e si presentò ai militari della Corea del Nord. Aveva sbagliato i calcoli. I comunisti lo accolsero col ghigno di chi ha trovato una pepita nell'uovo di pasqua. Per gli americani era un disertore, per il regime di Hanoi un eroe che aveva capito dove stava la giustizia. Jenkins venne presentato alla stampa come il simbolo della vittoria contro l'imperialismo capitalista, fine della bandiera a stelle e strisce e in alto il drappo rosso e l'avanti popolo. «Ho fatto la più grande stupidata che un uomo possa mai compiere - disse anni dopo -. Lo capii subito».

Dopo i saluti, si fa per dire, i compagni trasferirono l'americano nelle confortevoli celle delle prigioni e in seguito in un monolocale, privo di acqua corrente, dove trovò, imprevisti coinquilini, altri tre soldati americani, Larry Abshier, James Dresnok e Jerry Parrish. Il quartetto restò al domicilio coatto per anni sette, costretti a studiare per dieci ore al giorno le lezioni di filosofia e di politica di Kim II Sung. Ogni tanto, quando la scolaresca si distraeva, veniva bastonata dai bidelli, in gergo le guardie. Jenkins provò a contattare l'ambasciata sovietica, chiedendo asilo che, ovviamente, venne rifiutato. Il gruppetto si sciolse e al disertore americano patriota coreano venne concesso di potersi iscrivere all'Università di Pyongyang, facoltà di lettere straniere. Mancava un dettaglio perché il sergente si integrasse nella cosiddetta democrazia comunista: l'amore di una donna. Dunque gli venne presentata una ventunenne giapponese, Hitomi Soga, reclutata per trasformarla in spia al servizio del regime contro il governo nipponico. Trentotto giorni dopo erano già marito e moglie: un altro tipo di prigionia. Si persero le tracce della suocera ma la coppia ebbe due figli e Jenkins accettò anche il ruolo di attore in Eroi Senza Nome, un corto di venti ore, un filmino sugli atti di eroismo di una spia a Seul durante la guerra. Toccò poi alla moglie di Charles Robert la possibilità di tornare libera in Giappone e l'accordo fra i due governi consentì il ricongiungimento nel duemila e quattro. Il sergente lasciò definitivamente la Corea del Nord e sognò ancora la Carolina del Nord. Ma gli americani non avevano dimenticato. Gli tolsero i gradi, gli annullarono arretrati e compensi sospesi, la corte marziale lo condannò a trenta giorni di prigione. Come in quel gennaio del Sessantacinque, Charles Robert Jenkins si ritrovò a scegliere: la Nord Carolina era ormai lontanissima, si sentì tradito dai suoi compatrioti e decise di trasferirsi sull'isola di Sago, svolgendo il lavoro di pattuglia, cioè di custode in un emporio. Qui ha finito la vita. Libero e dimenticato.

Come i suoi tre compagni di monolocale, tutti defunti, non si sa come e nemmeno quando, nella grande e democratica e pacifica Corea di mister Kim.

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