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Sorrisini, applausi e "talk boh". Il travet della partigianeria tv

Da "Ballarò" a "Dimartedì" il conduttore "sardo" da vent'anni replica il suo show: stessi ospiti, stesse idee, stessa ideologia

Sorrisini, applausi e "talk boh". Il travet della partigianeria tv

Forse aveva ragione Giuliano Ferrara quando, a chi gli chiedeva un'opinione su Giovanni Floris, rispose: «Ha troppi denti». E su un vecchio televisore in bianco e nero scorre l'episodio di Alberto Dentone Sordi, giornalista ferrato e risoluto che partecipa senza complessi al concorso Rai. Scioglilingua, prova scritta con citazioni in arabo, tedesco, fiammingo, e sorriso.

Detto «Sorrisino» dagli amici (non così tanti) e «Durban's» dai nemici (non così pochi), Giovanni Floris è giornalista ferrato, risoluto, studioso, sempre preparato - falce e pennarello - pacato, deciso, gentile (come dice la vecchia nonna sarda, gallurese di Tèmpiu, «Gjuanni è così beddu: sorride sempre»), faccia e modi del bravo ragazzo, un professionista che prepara la scaletta anche per andare in bagno, professorino figlio di professoressa del Tasso («Ah, la Floris!»), metodico, abitudinario vacanze sempre a San Teodoro, bermuda stinti e quelle Crocs raccapriccianti, sempre il cinepanettone a Natale, stessi amici per la pizza, stesso gruppo di lavoro, stesse infinite riunioni, stessa noia redazionale - occhialino da intellettuale zdanoviano, realismo socialista e pragmatismo antiberlusconiano. «Giovaaaaaaaa!!!».

Sardo di origini nuoresi, romanista tottiano e romano del Nomentano, dalle Domus de janas alle catacombe di Villa Torlonia, Giovanni Ciao Giova Floris rimane un cattolico democratico di piazza Bologna, un cattocomunista cacio e pepe, Pajata e Vaticano, suppliche e supplì, passato indenne dalla liberalissima Luiss - docenti: Dario Antiseri, Luciano Pellicani, Domenico Fisichella e Antonio Martino; compagni di corso: Giovanni Orsina, Andrea Mancia, Fausto Carioti e Vittorio Macioce gli altri fissati con l'epistemologia di Karl Popper, lui con la storia del Partito comunista. Tesi: «Capitale e lavoro: dallo scontro alla cooperazione conflittuale?». E anche i talk, in fondo, sono scontro e conflitti.

Tesi, Antiseri e sintesi: Floris alla fine sceglie il giornalismo. Piccole collaborazioni politically oriented l'Espresso, l'Avanti! poi Scuola di giornalismo a Perugia e l'entrata in Rai: al Giornale Radio. Le scorciatoie per il successo sono solo due: bravura e fortuna. Giovanni, al quale entrambe sorridono, da cui il famoso risolino, da bravo giornalista si trova nel posto sbagliato al momento giusto. A New York, per sostituire un collega in ferie, l'11 settembre 2001. Che per lui fu tutto, tranne che una tragedia. E così diventa la voce e il volto italiano da Ground Zero. Uno, due, tre... passa un anno e grazie al più grande floriscultore di Viale Mazzini, il plenipotenziario apostolico palermitano Paolo Ruffini, direttore di tutte le reti democraticamente corrette, da Rai3 a «Lazette», diventa l'étoile del nuovo talk show Ballarò, stagioni 2002-2014, dodici anni di applausi e sorrisi. Poi il passaggio a La7: Dimartedì, di tutti i mesi, da dieci anni.

Interruzione pubblicitaria. Lettiano con un debole televisivo per Bersani e una cotta politica per Elsa Fornero - c'è chi sorride e c'è chi piange - in quello stesso 2014 il ridanciano Giovanni Flori (ride, ride sempre, anche alle battute stinte dei comici ospiti fissi in trasmissione, che di solito come Luca&Paolo sono della sua stessa scuderia, chez Caschetto, altro furbetto del quartierino televisivo) a La7 ottiene anche il preserale, Diciannovequaranta, un flop sospeso dopo due settimane. E a un certo punto, da Nuoro a Castel Sant'Angela, novello Piero e Alberto, nel 2017 s'inventa persino una striscia culturale, Artedì, altro flop espunto senza clamori dal palinsesto. Morale. Da 22 anni Floris, cambiandogli nome, fa lo stesso programma, con gli stessi identici ospiti, mandando in loop un'identica eterna trasmissione, un ininterrotto teatrino delle maschere, qua a sinistra facciamo sedere quelli presentabili, lì a destra gli scappati di casa...

Format di Ballarò-Dimartedì. Copertina: pezzo dei due comici di turno, di solito sui «fasci», con Floris che si sbellica per riempire le pause. Poi si invitano degli ospiti, tanti ospiti, una caterva di ospiti, un nugolo di ospiti, a caso, così che tutti parlano di qualcosa, senza capo né coda, del tutto fuori contesto, tutti gratis (tipi esemplari: Diego Della Valle che scambia Floris per Formigli; gente che non ha particolari titoli accademici; un'anziana partigiana che recita la parte richiesta e intanto presenta il suo libro, pensa un po', edito dalla Mondadori...); Floris che affetto da dromomania saltella qua e là, dando e togliendo la parola, incapace di stare fermo nello stesso posto o sullo stesso argomento per più di un pixel; poi molti applausi, una valanga di applausi, una piramidale cascata di applausi, del tutto immotivati, e il sottile retropensiero che la trasmissione, indipendentemente dai temi, si poggi solo su una frase della settimana, fuori posto, di un politico di destra. Il resto viene da sé.

Esempio. Dimartedì scorso, blocco 23.10-23.50. Temi sfiorati: le nomine della Meloni, il Patto di stabilità - sanità e scuola en passant «l'identità di questa destra», immigrazione, la Destra e l'Europa, le pene agli eco-vandali, il decreto anti-Rave (ancora?!), le tasse, le pensioni, l'(anti)fascismo, il musical su Silvio Berlusconi a Londra, una marketta al libro di Antonio Caprarica, la legge di bilancio, l'eliminazione del reddito di cittadinanza, la lotta alla corruzione «Lasci parlare...» - i dossier aperti con l'Europa, il Pnrr, una frase del 2018 della Meloni su Orbán (ma che cazzo c'entra?, ndr), la flat tax, i costi delle armi all'Ucraina, la transizione di sesso nei minori, l'immigrazione come sostituzione etnica «Abbassiamo lo studio...» - un blob di dichiarazioni dei politici di destra sui genitori omosessuali, Macron, la Cina, l'atlantismo della Meloni, una clip di Salvini e Putin, una di Meloni e Mosca, Ignazio La Russa, la Russia e «il tema dei temi, che rimane la guerra»... Applausi. «È difficile tenere insieme tutto». Sorriso. Ma cos'è?!? Talk boh...

Resumè: 40 minuti, 35 argomenti, 11 ospiti. E li chiamano talk show di approfondimento.

Domanda. Ma che cazzo ha da ridere Floris?

Flos Floris. «Ut flos in saeptis secretus nascitur hortis». Scegliere fior da Floris. Il fior Floris del giornalismo. «Tu fior de la mia pianta/ Percossa e inaridita,/ Tu de l'inutil vita/ Estremo unico fior». Fare un fioretto. Il più bel fiore che non colsi. Essere nel Floris della vita. Un fior di galantuomo. «Non è tutto rose e Floris». Avere i nervi a floris di pelle (in senso figurato). Ma soprattutto: un sorriso a floris di labbra.

Trentadue denti, 55 anni, moglie scrittrice - che come lui pubblica per Berlusconi, lui per Rizzoli, lei per Sperling ('Tacci vostra...) - detto il «Vespino di sinistra» malsopportato dal Vespone, Giovanni Floris è oggi il giornalista più strettamente vicino a Urbano Cairo, giocandosi il primato con Enrico Mentana (e se questo è la ghiandola pineale di Urbano, quello è l'aorta), l'unico che in assenza forzata di Lilli può condurre Otto e mezzo, prendendosi un bel nove... E così si avverò il sogno del grigio burocrate - la versione Facis, tendenza Lebole, del giornalismo che ha finito per costruirsi la più perfetta delle maschere, anonima ma telegenica. Button down e orgoglio altissimo, abiti color travet e impegno civile. È lui l'impeccabile direttore dell'orchestra più democratica e più bella, che se la suona e se la canta. Sempre sulla stessa musica. «Abbassa lo studio...». Applausi.

«Alè!».

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