La sottomissione islamica dell'ateneo

A Torino ragazze velate per proclamare l'occupazione. Il sermone di un imam

La sottomissione islamica dell'ateneo
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Un proclama con la «kefiah» sulla testa a mo' di velo, dentro una scenografia di drappi «palestinesi» sul tavolo e dietro le spalle.

Qualcuno l'ha chiamata «carnevalata», ad altri è parsa una scena inquietante quella delle tre ragazze che l'altra sera hanno annunciato l'occupazione del rettorato di Torino per indurre l'università a disdire le relazioni con gli atenei israeliani.

Un «boicottaggio» dal sapore antisemita biasimato autorevolmente anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma chiesto a gran voce da minoranze di estrema sinistra, parte di una rete globale di attivisti ideologizzati e anti-occidentali che lavora per l'isolamento dello Stato ebraico, unica democrazia del Medio oriente, e non si fa alcuna remora a sostenere quella che viene definita «la resistenza» anti-Israele, anche armata, fosse pure quella di Hamas, il movimento terroristico del 7 ottobre.

Il proclama sinistro fa seguito a una sorta di preghiera islamica che si è celebrata, sempre a Torino, a Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche; un «sermone del venerdì» condotto fra arabo e italiano da Brahim Baya, esponente della comunità musulmana.

Dentro un'università tempio del sapere laico, a Torino, città tradizionalmente laica, il responsabile di una moschea, l'«imam» Baya, per circa mezz'ora ha parlato di Al Aqsa, Gerusalemme, e della terra «benedetta» di Palestina, dipingendo Israele come «entità genocida» ed evocando una forma di «jihad», vale a dire «sforzo per difendere vita, diritti e vera pace». Intanto, perfino sulla Mole antonelliana simbolo della città (e progettata peraltro come sinagoga) è stata proiettata la bandiera palestinese.

La preghiera di Torino fa il paio con la lettura del Corano alla Statale di Milano, a gennaio, durante una manifestazione politica convocata da un'organizzazione studentesca. Entrambi gli episodi richiamano la preghiera verso la Mecca che, in una Università della California, ha unito «studenti» arabi e di estrema sinistra, ovviamente laicissimi e anticlericali quando si tratta di autorità cristiane.

Questa la situazione negli atenei italiani, che paiono persi dietro questa delirante propaganda «woke», anche se in realtà manifestanti e occupanti sono una minoranza. Erano una cinquantina, infatti, gli attivisti anti-Israele che hanno marciato verso il Rettorato di Torino, dove è andata in scena la quarta occupazione. Il collettivo «FreePalestine» ha inteso reagire così alla scelta del rettore Stefano Geuna che, per evitare problemi, ha deciso di convocare in streaming il Senato accademico. E in mezzo alle bandiere palestinesi, con la kefiah in testa, le studentesse hanno letto quel proclama: «Resteremo in Rettorato finché non sarà organizzata una seduta congiunta degli organi, in presenza, con la rappresentanza studentesca e con all'ordine del giorno la cancellazione degli accordi con Israele».

A Milano, intanto, una nuova rissa è scoppiata tra i «pro Palestina» e attivisti di Lotta Comunista. Nell'atrio dell'università sono volati calci, spinte e insulti tra i due gruppi. E l'open day è stato rinviato. «Gli scontri sono il frutto dell'anarchia in cui la Statale sta degradando» commenta Davide Romano della Brigata ebraica.

E a Firenze una

stella di David - con una minaccia - è stata scoperta ieri mattina sulla porta di un docente della Scuola di Giurisprudenza dell'Università. L'episodio, denunciato «suscita profondo sdegno» scrive l'Ateneo. Sempre peggio.

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