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Lo sparigliatore della torre dorata

Lo sparigliatore della torre dorata

Spariglia le auree regole diplomatiche e va a ruota libera, l'elected President Donald Trump dalla sua torre dorata sulla Fifth Avenue di Manhattan. Prende a calci la diplomazia come l'elefante fra i cristalli: apre a Taiwan (la Cina proibita, che per Pechino non esiste) calpestando un tabù antichissimo. Poi, avviluppa il primo ministro pakistano in una melassa di complimenti spropositati che contrastano con l'ondata di vecchi tweet anti-pakistani, aprendo così una faglia sismica con l'India, l'altra superpotenza nucleare nemica del Pakistan. Ma lo fa dopo aver stretto una inedita amicizia con il premier giapponese Shinzo Abe, il quale gli aveva detto: «Presidente, faccia sapere in giro che Japan is back, siamo tornati nella storia, senza sensi di colpa e senza paura. E ricordi che la Cina va affrontata a brutto muso». Un rapporto rivoluzionario rispetto a quello tradizionale, che fa pendant con la vecchia dichiarazione di Trump secondo cui il Giappone dovrebbe possedere e usare armi nucleari per rispondere alla Corea del Nord e a ogni altro nemico. Siamo dunque di fronte ad una finis historiae che dalla Trump Tower chiude le vicende del XX secolo e delle sue guerre imperiali. Poco prima, Trump aveva silurato gli accordi fra i fratelli Castro, il presidente in carica Obama e papa Francesco che detesta con tutta la sua anima anglicana, come si è visto durante le scontro verbale al di qua e al di là di El Paso, a proposito di muri e ponti. Trump è nemico dei Clinton, dei papisti, degli Obama e anche dei Bush, repubblicani ma poco radicali. Sui rapporti con la Russia resta aperta una finestra d'interpretazione: Trump non vuole la guerra fredda permanente su cui hanno vissuto i democratici fin dai tempi di John Kennedy e punta ad una pax post-sovietica. Ma a spese di chi? Sarà vero, come ha appena ribadito, che taglierà i fondi alla Nato rendendola inservibile, mentre le sue truppe ancora pattugliano i confini russi per scoraggiare un'annessione dell'Ucraina o dei Paesi baltici? C'è una linea rossa che lega e collega tutti i nuovi passi di Donald Trump? «The Donald» vuole scrollarsi di dosso tutto ciò che gli Stati Uniti hanno accettato, spesso piegandosi a collo torto, per accompagnare un processo di pacificazione ipocrita e poco stabile. Vuole dare un calcio agli accordi nucleari con l'Iran che considera un atto di vigliaccheria, vuole mostrare di avere la mano sulla pistola quando si tratta di Cina e Corea del Nord, vuole bruciare con il lanciafiamme tutti i trattati transoceanici che i lavoratori americani (ma anche europei) detestano. È evidente che la sua intenzione è quella di fare in modo che nessuno dei vecchi alleati (ma anche dei nemici storici) degli Stati Uniti possano dormire sonni tranquilli. Tutto, nella sua strategia, è sottoposto a revisione ma anche a trauma. Il linguaggio spiccio banale ma fuori dalle norme con il presidente pakistano lo dimostra, come lo dimostra l'atteggiamento verso il Giappone. Ha scandalizzato poi le cancellerie con la sua formula politicamente scorrettissima di invitare il Primo ministro inglese, signora May con una formula del genere: «Se le capitasse di passare da queste parti, potremmo fare quattro chiacchiere». Dimenticando che nella sua posizione, è lui ad essere obbligato a formulare un invito all'altezza dei rispettivi ranghi.

Una scommessa: è quasi sicuro che alla fine sarà il mondo ad adattarsi alle regole di Trump e non viceversa.

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