Cronache

Spegnere i telefoni a scuola ora anche l'Italia ci pensa

Dopo la Francia, anche il neoministro Bussetti dice: "Il loro stop è un'opportunità su cui riflettere"

Spegnere i telefoni a scuola ora anche l'Italia ci pensa

A fare più rumore è stata la Waldorf Peninsula, sulle colline di Los Altos, in California. La scuola tanto borghese quanto alternativa per i figli ricchi della Silicon Valley. I dirigenti delle maggiori compagnie hi-tech sborsano fino a 33mila dollari per iscrivere i loro eredi in classi che hanno messo al bando computer, tablet e cellulari decenni prima della Francia. Sarà che a stare in alto si riesce a vedere più lontano.

Lì che gli smartphone si inventano, vengono banditi ai più piccoli, per proteggerli dai rischi e per educarli alla socialità, perché meglio giocare su una casa in un albero che faccia appiccicata allo schermo di un cellulare, perché la tecnologia resta solo un mezzo a cui accedere da un certo punto in poi della vita. Non certo dai banchi di scuola. Poi, una settimana fa la notizia che arriva dalla Francia: l'Assemblea nazionale francese ha approvato la proposta di legge dei deputati del partito La Republique En Marche del presidente Emmanuel Macron, che prevede l'introduzione del divieto dell'uso dei cellulari nelle scuole materne, elementari e medie da parte degli alunni. La misura, difesa dal governo come un «segnale alla società», dovrebbe entrare in vigore a partire dal prossimo anno, al rientro dalle vacanze estive. Il testo prevede il divieto di telefoni cellulari «tranne che per usi pedagogici» e tranne nei luoghi in cui «il regolamento interno lo autorizzi espressamente». Il cosiddetto «codice dell'istruzione», che raccoglie tutte le leggi francesi relative all'istruzione, dalla legge del 12 luglio del 2010 vieta già l'uso dei cellulari «durante ogni attività di insegnamento e nei luoghi previsti dal regolamento interno»; ma rispondendo alle critiche dell'opposizione il ministro dell'Istruzione, Jean-Michel Blanquer, ha difeso la necessità di «una base giuridica molto più solida». Una legge che oggi sembra non dispiacere neppure al nuovo ministro dell'Istruzione Marco Bussetti che ha detto: «La legge francese è un'opportunità per riflettere sull'uso consapevole dei telefoni in classe».

Uno spunto da cui partire insomma, un'inversione di rotta rispetto al ministro Fedeli che invece aveva detto sì all'uso dei telefonini in classe. «La linea in Italia sui telefonini in classe - ha proseguito Bussetti - è comunque già ben definita. Esistono i regolamenti di istituto che rientrano nell'autonomia didattica. Le scuole hanno già adottato dei regolamenti interni». Eppure fino a poco tempo fa, una circolare del 2007 dell'allora ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni vietava l'utilizzo dei telefonini in classe. Il governo Gentiloni, con l'ex ministra Valeria Fedeli, ha in sostanza rimosso - non senza polemiche - il divieto e «sdoganato» il cellulare in classe. Alcune scuole italiane per provare a limitare questa possibilità, hanno introdotto il divieto di portare i telefonini a scuola o ne hanno imposto la consegna all'ingresso. È successo, ad esempio, in molti istituti del Regno Unito: tra il 2007 e il 2012 le scuole che hanno tolto i cellulari dalle mani degli studenti sono passate dal 50% al 90%. Proibire ai ragazzi di introdurre i telefonini negli istituti, e quindi di portarseli dietro, ha però sollevato il disappunto di molti genitori per una questione di sicurezza.

Per questo motivo, ad esempio, nel 2015 il sindaco di New York Bill De Blasio ha abolito il divieto che impediva agli studenti di portare dispositivi elettronici nelle scuole della Grande Mela. Nel resto del Paese, dopo un periodo in cui si erano diffuse politiche restrittive e divieti, stanno aumentando i corsi che ammettono l'utilizzo di smartphone e tablet a fini didattici. Un divieto che provoca polemiche in tutto il mondo con i genitori schierati in prima linea. La guerra per spegnere la tecnologia non si placa. Ovunque, tranne nella Silicon Valley.

Laggiù, i telefonini ai bambini li hanno spenti già da un pezzo e sono tutti d'accordo.

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