Lo spettro di Pinochet sul Cile. A Santiago è coprifuoco totale

Militari in strada, libertà sospese e divieto di uscire la sera. Bufera su Piñera: il Paese brucia, lui è al ristorante

Lo spettro di Pinochet sul Cile. A Santiago è coprifuoco totale

Torna lo spettro della dittatura di Pinochet nell'immaginario collettivo dopo che ieri, pur avendo annullato l'aumento del 4% dei biglietti della metro, Sebastián Piñera ha esteso lo stato d'emergenza a tutto il Cile, decretando anche il coprifuoco nella capitale. «Ho ascoltato con umiltà la voce dei miei compatrioti e non avrò paura nel continuare ad ascoltarla. Sospendiamo l'aumento dei biglietti della metro». Sono i giorni più difficili degli ultimi 30 anni per il Cile e le dichiarazioni del presidente nella speranza che la furia distruttiva di centinaia di giovani addestrati alla guerriglia urbana si placasse non sono servite a nulla. Invece, l'effetto di vedere nelle strade esercito e Carabinieri ma, soprattutto, i blindati come negli anni 70, ha sortito l'effetto contrario e ieri Santiago si è svegliata in uno scenario da dopoguerra, come se l'avesse travolta un terremoto.

Centinaia tra auto, bus e treni incendiati, autorimesse, negozi, stazioni della metro e supermercati saccheggiati e distrutti. In due grandi magazzini, trasformatisi in un rogo dalle fiamme appiccate dagli stessi vandali, sono stati trovati carbonizzati i corpi di due donne mentre un uomo, portato d'urgenza all'ospedale, non ha retto alle ustioni. E in molti adesso dubitano che la città sia pronta a garantire la sicurezza di decine di capi di stato, compresi Donald Trump e Xi Jinping, per il vertice APEC, in programma il 16 novembre. Ieri, a conferma del caos, il prefetto della regione metropolitana, Karla Rubilar, ha riferito che la Direzione dell'aeronautica civile ha sospeso i voli di alcune compagnie aeree perché gli equipaggi non sono riusciti ad arrivare all'aeroporto. I voli saranno riprogrammati ma non è dato sapere quando. A rischio persino la finale della Coppa Libertadores del 23 novembre nello stadio di Santiago.

Intanto, mentre esercito e Carabinieri pattugliavano le vie della capitale, quella parte della popolazione che da quando Pinochet lasciò il potere si era mantenuta silente di fronte all'avvicendamento pacifico che sino a ieri ha retto il sistema politico cileno ha fatto sentire la sua voce. Ripetendo frasi irripetibili ai militari, gettando su di loro immondizia e battendo sulle pentole per esprimere il suo appoggio alle proteste mentre il Partito Comunista cileno ha chiesto le dimissioni del presidente. Oggi e domani le scuole rimarranno chiuse in Cile dove, nonostante gli appelli a isolare i violenti, gli atti vandalici continuano ad estendersi a macchia d'olio. Come a Valparaiso, dove nel centro sono stati dati alle fiamme numerosi edifici compresa la sede de El Mercurio, il più antico giornale cileno. 77 su 139 le stazioni della metropolitana incendiate o semidistrutte, con danni per 200 milioni di euro e parecchi mesi adesso previsti perché la più moderna linea del Sudamerica possa essere ripristinata totalmente.

Il bilancio provvisorio della protesta dell'ultimo fine settimana è di 1.462 arresti, mentre il 90% dei feriti sono esponenti delle forze dell'ordine, con 7 carabinieri ricoverati in ospedale in stato grave.

Chiusi ieri i principali supermercati e centri commerciali mentre sale a 8mila il numero di Carabinieri e soldati mobilitati oggi in tutto il Cile per tentare di contenere i vandali. Se ci riusciranno non lo sa neanche Piñera che venerdì sera, allo scoppio delle proteste, era stato fotografato mentre mangiava una pizza, scatenando contro di lui l'ira sui social.

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