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Lo spoil system all'italiana: i dirigenti li sceglie il governo

Il disegno di legge Madia dà potere all'esecutivo di decidere chi può fare il manager e chi deve cambiare lavoro. Con la delega passano a Palazzo Chigi anche le Entrate

Lo spoil system all'italiana: i dirigenti li sceglie il governo

Si chiamano «carriere mobili e licenziabilità», concetti azzeccati perché evocano una pubblica amministrazione più efficiente ed economica. Ma quello che c'è dietro la formula sembra tanto uno spoil system all'italiana, che rischia di avvantaggiare solo la politica. O meglio il governo che, alla fine dei conti, deciderà chi può fare il dirigente pubblico e chi invece deve cambiare mestiere. Il disegno di legge Madia con la riforma della Pubblica amministrazione ieri è passato dalla commissione Affari Costituzionali del Senato.

Tra conferme e qualche modifica spicca proprio il trattamento riservato alla dirigenza. Prevede che la carriera dei dirigenti pubblici non si basi più sugli automatismi ma sia «funzione» di una «valutazione».

Confermata la licenziabilità, prevista dalla delega. I dirigenti privi di incarico vengono collocati in disponibilità e, passato un certo periodo da definire, probabilmente due anni, decadono dal ruolo unico.

Il governo ha messo le mani avanti e ha più volte escluso che si tratti di una versione italica del sistema anglosassone che prevede, di fatto, il controllo dell'alta dirigenza pubblica da parte del potere politico. Lo spoil system appunto. Ma la sostanza è quella, se non peggio.

La dirigenza dello Stato sarà riunita in un unico ruolo, manco a dirlo, sotto la guida di Palazzo Chigi. O meglio, di una commissione istituita presso la Funzione pubblica al quale spetterà la valutazione, in «piena autonomia» assicura il testo del Ddl.

Ma la licenziabilità rischia di fare saltare ogni pretesa di autonomia. «Il valore aggiunto di un dirigente, rischia di diventare l'aggancio con un politico, in mancanza del quale si rischia il licenziamento», spiega Francesco Verbaro, docente della Scuola nazionale dell'amministrazione. «La riforma - aggiunge - non è all'altezza delle aspettative del Paese. Si mantiene l'assetto esistente e non c'è nessun collegamento con le riforme dei settori chiave del paese come salute, lavoro e sicurezza».

Nella versione finale c'è una delega al governo a definire i compiti della presidenza del Consiglio. Dietro un cambiamento all'insegna della «collegialità», c'è di fatto il passaggio di tutte le nomine sotto la responsabilità di Palazzo Chigi. Anche quelle di competenza dei singoli ministeri dovranno passare per il Consiglio dei ministri. Votati da tutti i componenti dell'esecutivo, ma in un contesto dove la presidenza decide e dispone.

Poi c'è il passaggio a Palazzo Chigi del controllo della vigilanza sulle agenzie governative, tra cui ci sarebbe anche quella delle Entrate. Il fisco, insomma, sarà sotto il controllo del premier e non del ministro dell'Economia. Poi una stretta sui decreti ministeriali.

Non è la prima volta che si punta a precarizzare i vertici della Pa. La riforma della dirigenza varata dal governo Prodi si muoveva sullo stesso solco di quella Madia, ma una sentenza della Corte costituzionale la smantellò. Seguì la riforma del governo Berlusconi, che lasciava più autonomia ai dirigenti.

Ora Renzi e Madia sperano di varare uno spoil system , che sembra tanto ritagliato su misura del governo in carica e trasforma Palazzo Chigi in una sorta di Casa Bianca made in Italy .

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