Cronache

La Spoon River dei caduti con le stellette

Vittime di raptus, vendette o del proprio dovere. E colpiti perché dei simboli

La Spoon River dei caduti con le stellette

Troppe vite spezzate, troppe divise insanguinate. Sono otto i morti in servizio dell'Arma dei Carabinieri nel 2018 e 2019, di cui l'ultimo, il maresciallo Vincenzo Carlo Di Gennaro, l'altro ieri. Tre, invece, i caduti della Polizia di Stato nello stesso periodo. Tralasciando gli anni di piombo, in cui le uccisioni di uomini in divisa erano cosa di tutti i giorni, la lunga scia di sangue è costellata di omicidi avvenuti per vendetta, per reazione a un arresto, ma sempre e comunque per colpire lo Stato, di cui i rappresentanti delle Forze dell'ordine sono il simbolo.

L'ultimo episodio che si ricorda è quello della scomparsa del carabiniere Emanuele Reali, travolto da un treno a Caserta nel novembre dello scorso anno durante un inseguimento. Il caso del Foggiano è simile, invece, a quello del 2016 a Carrara, quando a perdere la vita fu il 47enne Antonio Taibi. Il militare morì sulla porta di casa, colpito al petto dai colpi di pistola esplosi dal 72enne Roberto Vignozzi, ex postino che per vendicarsi dei guai giudiziari dei figli decise di uccidere il carabiniere. Nel febbraio del 2016 fu Gianpriamo Piras, 59enne di Soleminis, in Sardegna, in preda a un raptus, ad ammazzare a fucilate il cognato poliziotto Maurilio Vargiu, 51enne, fratello della moglie che cercava di dissuaderlo dal suicidarsi. Il 27 aprile 2013 morì in servizio a Maddaloni l'appuntato Tiziano della Ratta, che nel tentativo di sventare una rapina fu colpito dai proiettili dei malviventi. Il collega Domenico Trombetta se la cavò benché gravemente ferito. Il 25 luglio 2011 l'appuntato Antonio Santarelli perse la vita colpito con un palo dal giovane Matteo Gorelli, fermato per un controllo di ritorno da un rave party. Il collega Domenico Marino rimase in vita, riportando però lesioni permanenti.

Andando indietro nel tempo, molti si ricorderanno dell'appuntato Donato Fezzuoglio, che cadde nel 2006 nel tentativo di sventare una rapina ai danni della filiale del Monte dei Paschi di Siena, a Umbertide, ma anche del tenente dei Carabinieri Marco Pittoni, deceduto il 6 giugno 2008 in seguito alle ferite di arma da fuoco riportate a causa degli spari di due malviventi che stavano rapinando l'ufficio postale di Pagani, in provincia di Salerno.

La lista di nomi sembra non finire mai. Nei giorni scorsi qualcuno ha distrutto la lapide in ricordo del sovrintendente di Polizia Antonio Lippiello, morto il 7 gennaio 2000 a Mestre dopo che la sua auto fu speronata dagli uomini che stava inseguendo. Un altro segno di mancato rispetto nei confronti di chi ogni giorno combatte per garantire legalità e sicurezza ai cittadini. Perché quelle divise sono in primis proprio il simbolo dello Stato, della tutela dovuta e pretesa, dell'ordine, del giusto.

Sono la parte migliore di un'Italia in cui c'è ancora chi uccide un padre di famiglia solo perché ha cucito addosso quell'effigie, invece, amata dalla maggior parte degli italiani.

Commenti