Politica

Spread, svelata l'ultima truffa: il calo non è merito del premier

Altro che merito dell'esecutivo il differenziale tra i titoli di Stato è sceso grazie all'intervento della Bce. I dati macroeconomici sono peggiorati dalle dimissioni del governo Berlusconi

Venerdì si è celebrato urbi et orbi il calo dello spread dei titoli di Stato italiani rispetto ai corrispondenti titoli del debito tedesco sotto quota 100. Per Matteo Renzi è «davvero la volta buona», ma c'è ben poco da esultare.

Il presidente del Consiglio dovrebbe sapere che l'andamento dello spread dipende solo in minima parte dai fondamentali macroeconomici dei paesi mentre la gran parte afferisce al «premio di reversibilità dell'euro» (rischio di disgregazione della moneta unica), che nel 2011-2012 raggiunse il suo livello più alto.

Oggi il «premio di reversibilità dell'euro» è stato ridotto al minimo dall'azione della Bce, che da domani inizia il suo programma di acquisto di titoli di Stato dei paesi dell'eurozona (Quantitative easing) e nulla ha a che fare con Jobs act, segreto bancario o altre riforme virtuali del governo Renzi. Lo spread non rappresenta, quindi, il merito di credito dell'Italia, malgrado le irresponsabili strumentalizzazioni. Tanto più che, se andiamo a guardare proprio i dati macroeconomici e a confrontare gli ultimi dati (Istat) disponibili vediamo che i valori erano inconfutabilmente migliori a novembre 2011. In termini di dinamica del Pil (+1% secondo trimestre 2011 vs. -0,4% dell'anno 2014 e -0,1% già acquisito per il 2015); di tasso di disoccupazione (9,2% novembre 2011 vs. 12,9% dicembre 2014). In più siamo in deflazione (-0,6% l'indice dei prezzi al consumo rilevato a gennaio 2015). E, quel che è peggio, abbiamo sospeso la democrazia: ricordiamo che i governi tecnici non esistono in nessuna altra parte del mondo. Sono questi gli effetti distruttivi di 3 anni e mezzo di imbroglio dello spread .

LE CAUSE DELLA CRISI Se andiamo ad analizzare cronologicamente l'inizio della crisi, vediamo come la corsa a rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato comincia a giugno 2011, ma in realtà la tempesta perfetta si stava preparando già da qualche mese prima. In effetti, tra febbraio e maggio 2011, c'è calma piatta sui mercati. Con una sola avvertenza. I rendimenti dei titoli del debito pubblico della Germania sono su una curva ascendente, in ragione dei problemi della finanza privata: le banche, oggettivamente a rischio, tanto per i loro comportamenti spericolati (vedi il caso dei titoli greci), quanto per i loro investimenti sbagliati (in titoli tossici).

LA DEUTSCHE BANK La reazione a questa situazione di forte tensione nel sistema finanziario tedesco è geniale, cinica e irresponsabile al tempo stesso: la Germania decide di trasferire la crisi potenziale del suo sistema bancario sui paesi più deboli dell'eurozona. Come? Vendendo e dando indicazioni generalizzate di vendere i titoli del debito sovrano, prevalentemente greci e italiani, sul mercato secondario, al fine di aumentarne i rendimenti sul mercato primario. Molto probabilmente, la strategia tedesca, più o meno concertata, mirava unicamente a un riequilibrio dei rendimenti, per riportare il Bund sotto il 3%. Ma, dati i tempi, l'operazione finisce per sfuggire di mano, provocando la tempesta perfetta.

L'EGOISMO TEDESCO Ma non basta. E qui siamo al paradosso dei paradossi. Questa strategia di cinico egoismo condotta dalla Germania non solo le fa assumere un ruolo egemone nella crisi, ma addirittura le consente di addebitare ai paesi vittime della sua manovra finanziaria il costo della soluzione dei propri problemi interni e di additarli come i responsabili della crisi. Risultato: da un lato rendimenti dei titoli del debito pubblico tedesco ridotti a un terzo (da 3 a 1), dall'altro rendimenti quasi raddoppiati per i paesi vittime della manovra, con relativi effetti in termini di blocco dell'economia e, quindi, recessione.

COMMISSIONE UE PASSIVA Una grande speculazione, dunque. Una grave crisi finanziaria cui la Commissione europea di Barroso, tutta appiattita ai diktat del governo tedesco di Angela Merkel, non ha saputo dare risposte. E che solo la Bce di Mario Draghi è riuscita in qualche modo a domare. Quando davanti all'ennesima impennata dello spread del 24 luglio 2012, legata a timori di uscita della Grecia dall'area euro, da Londra si impegna a fare « Whatever it takes » per difendere la moneta unica. È, infatti, da quel giorno che lo spread ha cominciato a diminuire, in maniera strutturale e irreversibile.

GLI ERRORI DI MONTI In Italia, la visione calvinista che ha regnato in Europa dal 2011 ha portato all'esecutivo tecnico del professor Monti. Un governo che, anch'esso appiattito all'egemonismo e all'egoismo tedesco, con le sue misure economiche, dalla riforma del lavoro a quella delle pensioni e, soprattutto, con l'introduzione dell'Imu, ha esagerato. In termini tecnici, il governo Monti ha fatto più di quanto necessario, sovradimensionando l'entità delle manovre rispetto alla misura ottimale e compromettendo, di fatto, il raggiungimento degli obiettivi. C'è stato, da parte dell'esecutivo tecnico, un eccesso di sicurezza, c'è stata improntitudine, è emersa una certa mancanza di esperienza politica. Ma peggio: sudditanza psicologica e politica nei confronti della peggiore Europa di Merkel e Sarkozy.

LA MANCANZA DI CORAGGIO DI LETTA Siamo andati così a elezioni a febbraio 2013. Per oltre 60 giorni l'Italia non ha avuto un governo; economia reale al disastro. E lo spread andava giù. Si è iniziato finalmente a capire che esso non dipendeva dai governi e dai fondamentali economici degli Stati, ma dalla politica economica europea e dalla politica monetaria della Bce. Il 29 aprile 2013 ha giurato il governo Letta. Grandi aspettative da parte di tutti. Ma anche l'esecutivo Letta ha dimostrato timore reverenziale nei confronti della burocrazia di Bruxelles e dell'Europa tedesca. «C'è troppo governo Monti nel governo Letta», disse allora Stefano Fassina.

CON RENZI PERSI 12 MESI L'Italia assiste anche oggi in maniera passiva alla politica monetaria espansiva (e provvidenziale) della Bce. alla progressiva caduta del prezzo del petrolio e alla svalutazione dell'euro. La principale, e unica, misura di politica economica assunta da Matteo Renzi nel suo anno di governo è stata quella di dare 80 euro al mese al suo blocco sociale di riferimento. Doveva far ripartire i consumi, invece gli effetti saranno, secondo la Banca d'Italia, pari allo 0,1% in più all'anno nel 2015 e nel 2016. Tutto qui.

Sotto l'imbroglio dello spread si sono nascoste responsabilità gravi. La speculazione contro l'Italia è stata usata per realizzare un vero e proprio colpo di Stato Così viene a mancarci la terra sotto i piedi: anni di sacrifici non sono serviti a nulla. Gli effetti della (non) politica economica di Renzi sono inesistenti o addirittura negativi. Crediamo di aver documentato sin dal 2011 il grande imbroglio che stava alla base di una strategia tesa a speculare sul debito sovrano del nostro paese e a cancellare la democrazia in Italia, costringendo Berlusconi alle dimissioni, sulla base dell'invenzione dello spread . Dal lungo cono d'ombra che ha accompagnato la crisi della Lehman Brothers di settembre 2008 l'Italia non è mai uscita. E lo spread sotto quota 100 di venerdì o l'illusione della «ripresina» nel primo trimestre del 2015 non significano niente. Di questo dobbiamo ringraziare Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi. La nostra responsabilità è stata un'altra: quella di non aver saputo resistere nel 2011 all'offensiva dei poteri forti e di aver accettato la decisione di un governo tecnico del presidente della Repubblica, invece di andare a nuove elezioni. Forse la storia sarebbe stata diversa. Ma non è mai troppo tardi.

La Resistenza contro Renzi e i suoi cari comincia ora.

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