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Prima lo stadio era speculazione, ora è ok. Al M5S in crisi serve il consenso dei tifosi

I grillini cedono per non farsi superare in populismo dagli ultrà della Roma

Prima lo stadio era speculazione, ora è ok. Al M5S in crisi serve il consenso dei tifosi

Roma - La pazienza dei romani è finita, i sondaggi sono in calo e da qualche settimana Grillo e Casaleggio jr. sono preoccupati. Sta tutto qui il motivo della clamorosa giravolta dei Cinquestelle sullo stadio della Roma, che adesso è diventato «un obiettivo» - Di Maio dixit - laddove era sempre stato definito in altri modi. «Se vinciamo ritireremo la delibera sulla pubblica utilità» - minacciava la candidata Raggi in campagna elettorale - e in un esposto alla procura datato 3 dicembre 2014 che fu sottoscritto (tra gli altri) dal futuro sindaco, da Frongia, De Vito e Stefàno il Movimento Cinque stelle ci andava giù ancora più duro: la scelta dell'area di Tor di Valle veniva definita «scellerata» e il progetto «un'enorme speculazione immobiliare avente lo scopo fraudolento di assicurare enormi vantaggi economici a società private a discapito dei cittadini».

Cosa è cambiato, da allora? Cosa è cambiato dal giorno in cui fu scelto Berdini - che della sua contrarietà a quest'opera non aveva mai fatto mistero - come assessore all'Urbanistica? Semplice: che ora Grillo si sente debole e quindi ha deciso che in questo momento non può mettersi contro i romanisti a Roma. Dire «no» alle Olimpiadi era stato molto più semplice, lì non si andava a toccare la passione dei tifosi. Che quando si parla della Maggica diventano un po' meno ambientalisti ed eticamente rigidi, per la maggior parte non danno troppo peso al fatto che probabilmente quell'area è stata scelta perché i terreni appartengono a un grosso debitore di Unicredit e che sui 900mila e passa metri cubi di cemento lo stadio inciderebbe appena per il 14%.

L'alternativa infatti non è tra fare o non fare lo stadio, come vorrebbe far credere l'abile strategia di comunicazione messa a punto dai proponenti e veicolata da due testimonial d'eccezione come Totti e Spalletti. L'hashtag #famostostadio è uno slogan che ha riscosso consensi anche non giallorossi e anche fuori da Roma, ma elude furbescamente il cuore della questione, ossia il come farlo. Non si tratta di un aut aut ma di accordarsi su quanti metri cubi di palazzi che non hanno a che fare con l'impianto dovranno essere cancellati dal progetto. È qui che si gioca la partita ed è qui che i grillini potrebbero calare le braghe, sfruttando i pasticci in cui si è cacciato Berdini per far fuori in un colpo solo sia lui che la vecchia linea intransigente.

Di tutte le figuracce messe insieme fin qui sarebbe la peggiore, e non solo perché in questo caso anziché di una polizza da 30mila euro si parla di un affare da un miliardo e mezzo. La vera posta in gioco sembra essere il karma di un movimento che è nato e ha prosperato sul populismo e che ora deve inchinarsi alla ragion di stato e al grande capitale per non urtarne un altro, quello trasversale del tifo calcistico.

Stanno venendo al pettine i nodi di una forza priva di una visione d'insieme, che pensa di poter fare a meno sia delle ideologie che delle idee, e la morale di questa farsa a cinque stelle sembra essere la seguente: che c'è sempre qualcuno più populista di te, e che se quella è la tua unica cifra politica alla fine sei condannato a seguirlo.

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