Politica

Stesso reato: Romani alla sbarra, toga assolta

Il forzista ha prestato il telefonino alla figlia, il giudice Zanon l'auto blu alla moglie

Luca Fazzo

Le trattative per le cariche istituzionali della XVIII legislatura rischiano di naufragare su una vecchia condanna di Paolo Romani, oggi candidato di Forza Italia alla presidenza del Senato, dichiarato colpevole di peculato per avere prestato alla figlia il telefono di servizio. Peccato che nelle stesse ore, a confermare che in Italia esiste una categoria al di sopra della legge, per una vicenda identica la Procura di Roma si veda costretta a chiedere l'archiviazione dell'indagine a carico di Niccolò Zanon, cattedratico illustre e giudice della Corte Costituzionale, in difesa del quale sono scesi in campo compatti tutti i suoi autorevoli colleghi.

Se Romani era accusato di avere prestato il cellulare intestato alla Regione Lombardia, Zanon doveva rispondere di avere permesso alla moglie Marilisa D'Amico di andare a spasso con l'auto blu di servizio: un benefit probabilmente anche più costoso del telefonino, visto che oltre ad auto e benzina la signora impiegava anche come chaperon il carabiniere in forza alla Consulta. Eppure ieri il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, che aveva firmato l'avviso d garanzia a Zanon, non ha altra scelta che firmare la richiesta di archiviazione del fascicolo. A meno che un giudice preliminare particolarmente rigoroso ci si metta di mezzo, Zanon è salvo. E con lui i suoi colleghi che in passato si sono comportati esattamente allo stesso modo, e che se lui fosse stato condannato avrebbero dovuto preoccuparsi a loro volta.

Come sia stato possibile il repentino affossamento della prima indagine sulla casta dei giudici costituzionali, lo spiega bene la missiva che il presidente della Consulta, Giorgio Lattanzi, ha inviato nei giorni scorsi al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e al suo «vice» Ielo. Lattanzi annuncia che è stato varato in fretta e furia un regolamento più restrittivo sull'uso privato delle vetture della Corte da parte dei suoi componenti. Ma intanto afferma che il regolamento in vigore fino a ieri, emanato nel 1979, secondo l'interpretazione della Consulta invece consentiva l'uso allegro delle auto e di quant'altro. La lettura dei due testi in realtà non sembra così tranquillizzante. Il testo, finora segreto, del regolamento del 1979 si limitava a indicare per l'uso delle auto dei giudici «lo stesso ambito e le stesse modalità riconosciute ai ministri»: e questo, dicono ora i giudici, consentiva l'utilizzo illimitato. Ma il nuovo testo non è molto migliore: dice che «a ciascun giudice è assegnata in via esclusiva una autovettura per uso personale, anche in relazione ad esigenze di sicurezza». Un po' poco per evitare shopping e gite fuoriporta.

La situazione è singolare, perché proprio dalla lettura del regolamento del 1979 il procuratore Ielo aveva tratto la certezza che la signora Zanon non avesse alcun diritto di usare l'auto blu per i fatti propri. Ma la Consulta è superiore alle leggi: se le fa, se le interpreta.

E a quanto pare nessuno può dirle niente.

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