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Stop alle maestre senza laurea E arrivano gli statali "flessibili"

Orari elastici e pausa pranzo: la trattativa è aperta Il consiglio di Stato: per insegnare il diploma non basta

Stop alle maestre senza laurea E arrivano gli statali "flessibili"

Roma «Sì, digaaaa.». Chi non riconosce il verso caratteristico dello «scriba somniens»? E' il nome scientifico, pare attribuito dallo stesso Carlo Linneo, alla specie dell'impiegato assonnato che vegeta nelle stanze ministeriali, un esemplare pacifico ma infestante in cui si è imbattuto chiunque abbia osato avventurarsi tra i pericoli di uno degli habitat più insidiosi del Paese, la giungla burocratica. Una giungla in cui rischiano di rimanere prigioniere anche le maestre diplomate alle magistrali (e non laureate) che in base a una sentenza del Consiglio di Stato arrivata ieri non potranno essere inserite nelle graduatorie e non potranno più avere diritto a una cattedra.

Ingiustamente accostato al ragionier Fantozzi, che nella fiction era un dipendente privato, è in realtà figura molto più complessa, descritta con occhio da entomologo in un'altra opera di finzione, Ciro Amendola direttore della Gazzetta Ufficiale, il cui autore, Alfonso Celotto, è un brillante avvocato che ha davvero lavorato come dirigente ai vertici della Pubblica amministrazione. Il nuovo contratto degli Statali, in discussione in questi giorni all'Aran, ambisce a cambiare l'immagine fantozziana del dipendente pubblico, introducendo più «flessibilità», parola apparsa finora geneticamente incompatibile con la maggioranza degli uffici pubblici.

Ora ci sono in vista alcune novità degne di rilievo, ma le parti farebbero bene a rileggere e smontare il «decalogo delle cattive abitudini del pubblico impiegato» ricostruito da Celotto. Veder applicate con meno rigore regole come «9, 11, 13, 15. I quotidiani appuntamenti immancabili con giornale, cappuccino, pranzo, caffè» e «Organizza riunioni con almeno 15 partecipanti. In maniera che non si decida mai nulla» sarebbe un bel passo avanti.

Certo, la PA non è tutta così, ci sono anche tanti che hanno voglia di fare, ma siccome vige il principio generale, col sigillo sindacale, che nessuno deve essere migliore degli altri, i fannulloni impongono ai volenterosi la regola numero 3: «Applica con rigore il mansionario. Fai soltanto ciò che è rigorosamente di tua competenza. Cioè il meno possibile».

Otto anni di blocco della contrattazione hanno fatto risparmiare le casse pubbliche, ma non sono serviti a cambiare la situazione. Con il rinnovo, tra le nuove regole in arrivo c'è ad esempio la riduzione della pausa pranzo da «almeno 30 minuti» ad «almeno 10 minuti». Nessuno vuole prendere per fame lo scriba, né basterà questo a trasformarlo in una macchina da guerra lavorativa, tant'è che i sindacati sono d'accordo con la novità. La riduzione della pausa pranzo minima serve a rendere possibile una certa flessibilità nell'orario di lavoro, perché l'impiegato così potrebbe arrivare più tardi o uscire prima.

Chissà che rendere più elastico l'orario non serva a rendere meno fantozziano lo scriba. Forse più efficace potrebbe essere la regola sull'assenteismo, secondo cui le assenze strategiche di alcuni impiegati verrebbero «pagate», in termini di minori premi, da tutti i componenti dell'ufficio a cui appartengono. Su questo i sindacati sono già pronti alle barricate: «La responsabilità dev'essere individuale». Leggi: di nessuno. Un impiegato meno rigido, attento al lavoro, premiato quando lo fa bene e penalizzato quando lo fa male, è il sogno proibito di tutti. Oggi in realtà sempre più gli impiegati sono divisi in due: i vecchi assunti super garantiti e i nuovi precari e pagati poco per svolgere il lavoro dei primi.

Speriamo che questo rinnovo non sia un'altra occasione persa, visto che i sindacati pensano soprattutto all'aumento di 85 euro (per chi è garantito) e a poter dire la loro sulle nuove regole attraverso un fantozzianamente mostruoso «organismo paritetico». Com'è umano lei!

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