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La strage delle botteghe: perse 165mila in dieci anni

La Cgia: uccise da consumi in calo e tasse troppo alte Chiusure domenicali: deroga per le città metropolitane

La strage delle botteghe: perse 165mila in dieci anni

L'arrotino, il materassaio, la ricamatrice, il guantaio: figure che stanno per diventare o sono già diventate un lontano ricordo. Gli artigiani purtroppo sono una specie in via di estinzione: erano considerati la spina dorsale dell'economia italiana ma ora stanno scomparendo. A confermarlo purtroppo gli ultimi dati della Cgia.

In un settore già duramente provato le cifre della Confederazione di Mestre definiscono meglio la dimensione del fenomeno. Soltanto nell'ultimo anno hanno chiuso 16.300 attività, pari all'1,2 per cento. Ma se si guarda all'ultimo decennio la contrazione appare drammatica: meno 165.500 attività ovvero l'11,3 per cento del totale. Purtroppo dal 2009 al 2018 non si è più riusciti ad invertire la tendenza ed ogni anno è stato marcato dal segno meno. Ma quante sono rimaste in attività? Alla fine dello scorso, anno le imprese artigiane che risultavano operative nella Penisola era pari a 1 milione e 300mila unità. Di queste, il 37,7 lavora nell'edilizia, il 33,2 nei servizi, il 22,9 opera nel settore produttivo e il 6,2 nei trasporti.

Il coordinatore dell'Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo, evidenzia la gravità della situazione e sottolinea anche l'aspetto sociale della perdita della «bottega» che non è soltanto un luogo di lavoro ma anche un punto di aggregazione, una scuola di formazione, uno spazio dei ricordi e tradizioni. Ma perché le imprese chiudono? «La caduta dei consumi delle famiglie e la loro lenta ripresa, l'aumento della pressione fiscale e l'esplosione del costo degli affitti hanno spinto fuori mercato molte attività spiega con amarezza Zabeo - Senza contare l'avvento delle nuove tecnologie». E non c'è soltanto l'aspetto economico. «Quando chiude definitivamente la saracinesca una bottega artigiana, si perdono conoscenze e cultura del lavoro difficilmente recuperabili e la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente - osserva Zabeo - C'è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale». Ad essere più colpito è il sud. In questi dieci anni in Sardegna le imprese sono diminuite del 18 per cento, meno 7.664. In Abruzzo la contrazione è stata del 17,2, meno 6.220. E poi ancora l'Umbria, 15,3 per cento, pari a 3.733 attività; la Basilicata con il 15,1, 1.808; la Sicilia, sempre con il 15,1 per cento di perdite pari a meno 12.747 attività. Nell'ultimo anno il record negativo spetta alla Basilicata con una diminuzione dell'1,9. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare il settore artigiano più colpito dalla crisi non è il manifatturiero ma l'autotrasporto che sempre nello stesso periodo considerato dalla Cgia ha perso 22.847 imprese, meno 22,2. Al secondo posto le attività manifatturiere con una riduzione pari a 58.027 unità, meno 16,3. Il settore dell'edilizia registra un crollo: meno 94.330 unità, pari al 16,2. Dati positivi invece per le imprese di pulizia, giardinaggio e servizi alle imprese, più 43,2; attività cinematografiche e produzione software 24,6; magazzinaggio e corrieri 12,3. Tra le aziende del settore produttivo arrancano in particolare quelle che producono macchinari, meno 36,1; computer ed elettronica meno 33,8; produttori di mezzi di trasporto, meno 31,8. Per il Cgia, Renato Mason «le profonde trasformazioni in atto stanno cancellando molti mestieri».

E in un momento cosi difficile le chiusure domenicali obbligatorie potrebbero essere il colpo finale. Al momento l'accordo che hanno trovato M5s e Lega è quello di indicare la strada alle regioni che dovranno decidere poi come muoversi. La maggioranza ha fissato un tetto massimo: le saracinesche dovranno essere alzate non più di 26 domeniche all'anno e di 4 giorni festivi. Ma l'ipotesi è quella di una deroga per le città metropolitane (al momento nel testo vengono salvaguardatì solo i centri storici).

Si tratta di 14 città (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino, Venezia) alle quali potrebbe essere concesso di aumentare il numero delle aperture domenicali.

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