Cronache

La strage dietro le sbarre: mille morti

Fenomeno in aumento. Le vittime sono soprattutto i tossicodipendenti

La strage dietro le sbarre: mille morti

Roma - Morire di carcere. Se il suicidio è un tema difficile e doloroso quello del suicidio tra le sbarre è argomento scomodo al punto da essere per lo più taciuto, ignorato. Eppure in prigione a togliersi la sono in tanti e non soltanto i detenuti perché è un fenomeno che coinvolge pure gli agenti di polizia penitenziaria. Dal 2000 ad oggi sono quasi mille i detenuti che si sono tolti la vita in cella in base ai dati forniti da Radio carcere e Ristretti Orizzonti. Dopo il picco di 72 suicidi nel 2009 i casi sono scesi ai 45 del 2016 mentre da gennaio 2017 ad oggi sono già 23 i prigionieri che si sono tolti la vita. Precisamente dal 2000 si contano 956 suicidi ai quali si aggiungono 2.663 morti molte delle quali non hanno cause certe e chiarite.

Chi si toglie la vita come nel caso che oggi raccontano le cronache molto spesso ha dato chiari segnali in questo senso. Il detenuto si isola, smette di mangiare, compie atti sempre più forti di autolesionismo. Ci sono dunque in quasi tutti i casi indizi precisi di un comportamento che probabilmente porterà ad un gesto estremo. In carcere ci si toglie la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere. I casi monitorati dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Dap, per il 2016 registrano le modalità con le quali i detenuti si tolgono al vita: quasi tutti per impiccagione e qualcuno con il gas. Colpisce anche che ci siano alcuni istituti di pena dove i suicidi si ripetono. Nel carcere di Rebibbia a Roma ma anche a Poggioreale a Napoli e a Verona. Non è difficile verificare «come» si sceglie di morire ma il perché è assai più complesso. Sempre attenendosi ai dati registrati nel Dossier di Ristretti Orizzonte si scopre che sono gli italiani a scegliere di togliersi la vita con maggiore frequenza rispetto agli stranieri. Con una presenza straniera di oltre il 30 per cento sul totale i casi ricostruiti con certezza che hanno come protagonista uno straniero sono «solo» il 16 per cento. A togliersi la vita sono soprattutto i tossicodipendenti che rappresentano il 31 per cento di casi di suicidio a fronte di una presenza sul totale del 30 per cento. Alla dipendenza dalla droga si affianca il disagio mentale o vere e proprie patologie psichiatriche.

La radicale Rita Bernardini ha raccolto l'eredità di Marco Pannella che tra le tante battaglie combattute aveva sempre messo in primo piano quella per i diritti dei detenuti. Tra le cause del disagio indica il sovraffollamento ma soprattutto la mancanza di prospettiva. La Bernardini aveva incontrato Marco Prato nel marzo scorso e ritiene non abbia avuto una adeguata assistenza psicologica. «Ho motivo di credere che nelle carceri italiane ci siano migliaia di persone a rischio suicidio -afferma la Bernardini- e la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari ha aggravato la situazione». Il sovraffollamento è diminuito ma resta ancora un problema in molti istituti. Sono 56.436 i detenuti dei 190 istituti di pena in Italia e il numero degli stranieri è in continuo aumento. Nel 2017 sono saliti a 19.

268, il 34,1 per cento della popolazione carceraria.

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