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Lo strano caso del marxista nel tempio del capitalismo

La Bocconi si arrende a Thomas Piketty, l'economista che detesta il mercato e adora la ribalta. Cronaca di un incontro milanese molto radical e molto chic

Lo strano caso del marxista nel tempio del capitalismo

«Perché lo hanno citato a lezione», «Perché il prof l'ha messo in bibliografia», «Perché è un economista fuori dal coro», anche se poi non si capisce come mai chi sta dentro il coro ha molta meno influenza e visibilità di chi ne è fuori, «Perché è contro l'austerità», ma in effetti l'outsider oggi sarebbe chi è a favore, «Perché i suoi sono argomenti concreti: lo squilibrio tra pochi ricchissimi e tantissimi poveri», «Perché il suo libro qui in Bocconi è già esaurito, e intanto vengo a sentire l'autore», «Perché è il personaggio giusto, che (...)

(...) ha affrontato i temi giusti», e viene da chiedersi se non sia il posto, quello sbagliato.

Sono tante le ragioni che spingono gli studenti della Bocconi a mettersi in coda per l'incontro con il francese Thomas Piketty, economic-star del momento, personaggio dell'anno, autore del libro già di culto - citatissimo e probabilmente poco letto - Il Capitale nel XXI secolo , pubblicato in Italia da Bompiani, il saggio più amato dalla sinistra radical occidentale, fenomeno editoriale mondiale, per mesi primo assoluto nelle classifiche di vendita del turbocapitalista Amazon, traduzioni in oltre 30 Paesi, bestseller lodato sul New York Times da Paul Krugman, un Nobel dell'Economia. E il prologo della lectio è da (futuro?) Nobel dell'Economia: «La questione del reddito e della redistribuzione della ricchezza è troppo importante per lasciarla solo agli statisti». Che è una di quelle frasi che solo un economista massmediatico può dire. «The Piketty Phenomenon» dopo la trionfale tournée americana investe l'Italia. Applausi scroscianti.

Quarantatrè anni da poco compiuti, già docente al Mit negli Stati Uniti e ora direttore della Ecole d'économie di Parigi, già consigliere economico della candidata all'Eliseo Ségolène Royal e ora guru di tutti i consigliori economici, già compagno della ministra della Cultura Aurélie Filippetti e ora intellò di riferimento di fascinose studentesse, anche bocconiane, Piketty mastica un inglese basic , ma impiatta come uno chef stellato dati, cifre e teorie economiche. Giacca blu e camicia bianca, sul palco della Aula Magna strapiena (912 affollati posti, e per tutti gli altri c'è la diretta streaming), sotto due gigantografie di Karl Marx che poi sfumeranno in sobrie slide di grafici e quote, l'economista che il Wall Street Journal ha bollato come cripto-bolscevico condensa in un'ora secca (più le domande del pubblico) l'analisi consegnata con successo di critica e di lettori al suo bestseller: i rendimenti del capitale crescono più rapidamente dell'economia reale aumentando le diseguaglianze, quindi: «I ricchi vinceranno sempre». Certo, il fatto che comunque, con tutte le sue distorsioni, il capitalismo abbia migliorato, in proporzione, le condizioni di vita di tutti, poveri compresi, lo preoccupa meno. La platea, di studenti e professori, è attentissima.

Attento, preciso, convincente, Piketty - che alterna statistiche a citazioni da romanzi di Balzac, e le cifre del benessere pro capite medio ai romanzi di Jane Austen - detesta l'austerità, e adora la ribalta. Ieri era in Bocconi con Tito Boeri, oggi sarà alla Camera dei deputati con Laura Boldrini. Filosoficamente pragmatico, economicamente marxista, umanamente risulta molto simpatico. Il fenotipo è quello di Robin Hood. Impossibile non conquistare il pubblico.

E il pubblico, oggi, è quello delle grandi occasioni. Almeno per i numeri. Alle 16, due ore prima dell'incontro, la coda di studenti nella piazza interna dell'Università è già di 20 metri, alle 16,30 ha superato i 40, alle 17 il serpentone si sta già toccando la coda. Giovani, curiosi, preparati. Gli studenti conoscono bene Piketty. E il neo-marxista Piketty conosce bene la Bocconi, tempio privato del turboliberismo d' élite , icona del business yuppie e felice, il più grande impianto industriale adibito alla creazione di tycoon della finanza d'assalto. Eppure, o proprio per questo, Piketty ci si trova come un pescecane nell'acqua. Loro, i bocconiani, «prof» e studenti, affascinati dalle tesi radical di questo anti-capitalista del XXI secolo in salsa francese, sembrano come gli ospiti del salotto newyorkese dei coniugi Bernstein rapiti dai proclami delle Black Panthers. Qui mancano i bocconcini di roquefort ricoperti di noci.

In un'epoca in cui non ci sono più ideologie, e perfino poche idee, l'intuizione base della pikettynomic è mediaticamente travolgente: il capitalismo è un sistema economico pericoloso perché concentra progressivamente la ricchezza in poche mani, esaspera le diseguaglianze sociali e mette a serio rischio la tenuta dei sistemi democratici delle società avanzate. Scherzando, ma non troppo, il consiglio è che «il solo modo per raggiungere la vera agiatezza è mettere le mani su un patrimonio ereditario». La strana lezione di un economista anti-mercato nella chiesa accademica del neo-liberismo.

Come ha fatto notare qualcuno, oggi l'unica cosa che accomuna Barack Obama, il Papa, Marine Le Pen e Christine Lagarde (e molti bocconiani: «Ho comprato il libro, stasera lo comincio», «Lo sto studiando, è perfetto anche per il pubblico non specialista», «Sono alle prime dieci pagine su quasi mille, ma non mi spavento») è il fatto che tutti abbiano letto il libro di Thomas Piketty, superstar del dibattito economico al tempo della crisi, che non ha la barba di Marx, ma molto più charme.

E alla fine, chiusa la lectio magistralis e aperto il banchetto dei libri, rimangono soltanto una decina di scatoloni di copie da firmare.

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