Economia

Stretta sulle banche: scatta l'allarme mutui

Gli istituti potrebbero essere costretti a negare i prestiti alle famiglie. È colpa di una regola al vaglio della cosiddetta "commissione Basilea"

Stretta sulle banche: scatta l'allarme mutui

Roma - Sognate di comperare una casa? Se ne avete la possibilità, affrettatevi perché, nel breve periodo, le banche potrebbero avere maggiori difficoltà nell'erogazione dei mutui ipotecari. Ma il Quantitative Easing e i prestiti Tltro della Bce non dovevano servire a consentire un più facile accesso al credito anche per i cittadini? La risposta è affermativa, ma - in questo caso - Mario Draghi e i singoli governi nazionali hanno minori responsabilità. Si tratta, come svelato ieri dal quotidiano Mf , di un documento posto in consultazione a dicembre dal Comitato di Basilea, la commissione dei Paesi G20 che si occupa di stabilire le regole del credito.

In particolare, i tecnici stanno cercando di capire dalle singole banche nazionali se l'attuale livello di «copertura» standard sui prestiti sia appropriato. Ogni istituto di credito, infatti, quando concede un finanziamento è tenuto a bloccare una quota del proprio patrimonio, proporzionale a quanto erogato, nella malaugurata ipotesi di default del debitore. L'ipotesi al vaglio è quella di un giro di vite su alcuni tipi di prestito, in primis i mutui ipotecari. Attualmente esiste un'unica categoria per gli accantonamenti (il termine tecnico è «ponderazione») relativi ai prestiti sulle abitazioni ed è pari al 35%, cioè per ogni euro destinato al contratto di mutuo la banca mette via 35 centesimi. Non si tratta di generosità, ma di garanzie pre-esistenti. Come noto a tutti (o quasi), se non si può pagare la rata del mutuo, la banca diventa immediatamente proprietaria dell'immobile che rappresenta la garanzia reale del prestito.

Secondo il Comitato di Basilea, questa prassi non sarebbe adeguata a coprirsi dal rischio di default del debitore, in quanto la maggior parte dei mutui ipotecari finanzia più del 50% del valore dell'immobile. Nel linguaggio bancario si usano l'espressione Loan-to-value e l'acronimo Ltv, cioè «prestito in relazione al valore». La proposta è quella di parametrare le ponderazioni sia al Loan-to-value che all'incidenza sul reddito disponibile, ossia alla quota di risorse impegnata al servizio del debito. Quest'ultima, nella stragrande maggioranza dei casi, si attesta attorno al 35% di quanto guadagnato mensilmente dal sottoscrittore del contratto di mutuo. La griglia studiata dal Comitato prevede, per questo caso specifico, ponderazioni comprese tra il 40 e il 50% se l'Ltv è nella fascia 60-80%, quella canonica dei mutui. Ciò comporterebbe la possibilità di lasciare invariata la ponderazione solo per chi ha già in tasca il 50% del valore dell'immobile.

È un'ipotesi allo studio, occorre sempre ricordarlo, ma già il sistema bancario italiano ha fatto filtrare insoddisfazione. A fine 2014, infatti, le sofferenze, cioè l'insieme dei prestiti non onorati a vario titolo dai debitori, ha raggiunto la cifra monstre di 183,7 miliardi di euro. Questo già comporta (e ha comportato negli anni scorsi) un appesantimento dei bilanci a causa di svalutazioni e rettifiche. Aumentare ulteriormente la copertura dei prestiti significa rinunciare a un incremento della redditività. E soprattutto significa rinunciare a un'opportunità di business (+32% i mutui concessi nel 2014), vista la minore possibilità di erogazione di mutui che ne deriverebbe. Il ragionamento degli istituti italiani è più o meno il seguente: i mutui sono già coperti naturalmente dagli immobili. Inoltre, nei casi in cui il Loan-to-value sia particolarmente elevato si richiedono ulteriori garanzie.

Troppo rigore potrebbe, perciò, rivelarsi controproducente.

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