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Studenti-vigili controllano auto e patenti. La protesta "stradale" blocca il Bangladesh

Ogni anno uccisi 4mila pedoni: i giovani chiedono una svolta al governo

Studenti-vigili controllano auto e patenti. La protesta "stradale" blocca il Bangladesh

Si mettono in corrispondenza degli incroci, fermano le auto, controllano le patenti e verificano che le vetture siano a norma. Vigili? Poliziotti? No, sono gli studenti del Bangladesh, che a migliaia si sono riversati nelle strade della capitale - Dacca, 18 milioni di abitanti - sotto scacco dei più giovani ormai da dieci giorni. Chiedono più sicurezza sulle strade e il governo non può far altro che ascoltarli. Anche se a modo suo: il ministro della Giustizia ha detto di voler introdurre la pena di morte per il reato di omicidio stradale.

A far scoppiare il caos, a fine luglio, è stata la morte di due studenti universitari, investiti da un autobus che viaggiava troppo veloce mentre aspettavano a una fermata. Un episodio tutt'altro che raro, in un Paese in cui l'anno scorso 4.200 persone sono rimaste uccise, e 16mila ferite, in incidenti stradali, e dove si stima che due milioni e mezzo di veicoli siano guidati da persone prive di patente. Ma la morte dei due ragazzi è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, almeno per i loro coetanei. Che dal 29 luglio stanno dando vita a centinaia di proteste spontanee in diverse zone di Dacca. Decine di migliaia di giovani, anche appena adolescenti, hanno indossato l'uniforme scolastica, ma in classe non ci sono più entrati. Preferiscono sfidare la stagione delle piogge e posizionarsi ai principali incroci stradali, in alcuni casi bloccando le vetture per controllare che chi è al volante abbia un documento di guida valido e che i veicoli siano conformi alle (poche) norme in vigore. «Non ci fermeremo fin quando le nostre richieste non saranno soddisfatte - gridano i manifestanti -. Vogliamo strade sicure e autisti affidabili».

Il governo bengalese ha inizialmente tentato di gettare acqua sul fuoco, esortando i giovani a smettere le proteste. Subito dopo è scattata la controffensiva: preoccupato dal proseguire dei disordini, l'esecutivo ha prima ordinato la chiusura delle scuole e poi, nel tentativo di ostacolare il coordinamento delle proteste attraverso i social network, ha lasciato per 24 ore il Paese senza connessione Internet da cellulare. Ci sono stati anche scontri tra le forze dell'ordine e i manifestanti: in un solo pomeriggio, quello di sabato, sono stati portati in ospedale 115 feriti, dopo che la polizia ha usato proiettili di gomma e lacrimogeni sugli studenti. Secondo testimoni, sarebbero intervenute anche milizie filogovernative con manganelli e bastoni. Un crescendo di violenza che ha fatto intervenire anche l'Onu e le associazioni che si occupano di diritti umani, come Amnesty International. Di fronte all'evidenza il governo non ha potuto far altro che promettere di prendere in considerazione le richieste dei giovani. Cercando, nel frattempo, di farli tornare in classe il prima possibile. Il timore, infatti, è che questo neonato movimento giovanile si trasformi in una protesta anti-governativa più strutturata e pericolosa per la tenuta del gabinetto. L'altroieri, quindi, il titolare della Giustizia ha annunciato una nuova legge sull'omicidio stradale, che porterebbe dagli attuali 3 anni all'ergastolo la pena massima prevista per chi compie il reato.

Ma intanto i manifestanti restano per strada. E prosegue anche la reazione dell'esecutivo: martedì è stato fermato Shahidul Alam, noto fotografo bengalese che stava documentando le proteste e che, in un'intervista ad Al Jazeera, ha criticato il governo in merito.

Accusato di aver usato i social per fomentare disordini, promuovere la diffusione di informazioni false e macchiare l'immagine del Paese, sarà tenuto in custodia per una settimana mentre viene interrogato.

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