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Sui social arriva la "resistenza" contro i sacchetti a pagamento

Renzi al contrattacco: "Così aiutiamo la green economy"

Sui social arriva la "resistenza" contro i sacchetti a pagamento

Roma - Un sacco (bio) di proteste. La prima polemica dell'anno ha lo spessore quasi impalpabile dei sacchetti per l'ortofrutta, quelli parzialmente biodegradabili, che dal primo gennaio sono diventati - come noto - a pagamento.

Nei supermercati il prezzo varia tra uno e tre centesimi, ma nonostante Assobioplastiche abbia stimato un costo annuo tra 1,5 e 4,5 euro pro capite, le proteste dei consumatori dilagano. Soprattutto sui social network. A irritare per cominciare è la scelta del governo di «portarsi avanti» nel recepire la direttiva europea in materia (che permetteva di escludere dagli obbiettivi di riduzione plastica proprio i sacchetti ultraleggeri), prevedendo da subito di proibire la distribuzione gratuita delle bustine, oltre che la mancanza di alternative: le buste non possono essere riutilizzate (ma si possono usare come contenitori per l'umido a casa, se sono ancora integre) e non si possono utilizzare sacchetti propri, quindi di fatto si è costretti a spendere quegli eurocent in più ogni volta che si compra e si pesa ortofrutta, pesce o carne.

Anche questo dettaglio è diventato «virale» in rete in seguito al suggerimento «risparmioso» di incollare lo scontrino della bilancia direttamente sull'ortaggio pesato. Niente da fare: per semplificare il calcolo, il costo della busta in bioplastica è aggiunto proprio al momento della pesata. Per cui lo stratagemma di prezzare direttamente frutta e verdura non funziona, perché si finisce per pagare il sacchetto anche se non lo si prende. Ma comunque le foto di mele scontrinate una per una (con una conseguente moltiplicazione del costo per i sacchetti) ieri andavano alla grande su Facebook, con migliaia di condivisioni che spacciavano la trovata come «soluzione» per il boicottaggio della nuova legge.

L'altra polemica è squisitamente «antirenziana», e riguarda l'azienda leader nella produzione di buste in mater-bi, una plastica biodegradabile realizzata dal mais dalla Novamont, azienda novarese con stabilimento a Terni il cui ad, Catia Bastioli, aveva partecipato alla Leopolda del 2011, sei anni fa, come oratrice, invitata proprio dal rottamatore. Di qui le critiche alla scelta «radicale» del governo guidato da Paolo Gentiloni nell'imporre da subito un prezzo ai sacchetti ultraleggeri. Anche perché, sempre online, non sono mancati i simpatizzanti dem che di bacheca in bacheca difendono la scelta dell'esecutivo e la attribuiscono a un presunto obbligo italiano di allinearsi all'Europa, mentre come detto le cose stanno diversamente, e di fatto l'Italia è il solo Paese nel quale quei sottilissimi involucri tocca pagarli. In Irlanda, invece, viene applicata una tassa sulla produzione degli shopper. «In Italia ci sono circa 150 aziende che fabbricano sacchetti prodotti da materiale naturali e non da petrolio, anziché gridare al complotto dovremmo aiutare a creare nuove aziende nel settore della green economy senza lasciare il futuro nelle mani dei nostri concorrenti internazionali», ha replicato Matteo Renzi nell'ultimo numero delle sue Enews.

E non manca nemmeno l'ironia a margine delle polemiche. Come il meme del principino George, icona snob del web, che ammonisce sorridente: «I sacchetti per la spesa ve li compro io.

Poracci».

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