Cronaca internazionale

Suicida la star di "Parasite". Si vergognava per la droga

L'attore si toglie la vita dopo l'accusa di consumo di stupefacenti. Nel Paese boom di gesti estremi: +230%

Suicida la star di "Parasite". Si vergognava per la droga

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Vittima della vergogna, vittima del pugno duro contro la droga del presidente Yoon Suk Yeol e protagonista dell'ondata di suicidi che in Corea del Sud è ormai da oltre trent'anni una piaga nazionale. Si è ucciso Lee Sun-kyun, 48 anni, attore sud-coreano con una carriera ventennale culminata in Parasite, la pellicola frutto del genio di Bong Joon Ho e vincitrice della Palma d'oro a Cannes e di 4 Oscar, tra cui quello di miglior film, per la prima volta nella storia assegnato a un lungometraggio in una lingua diversa dall'inglese. Nella pellicola Lee interpretava il ruolo del ricco marito della famiglia Park raggirata da poveri disperati e senza scrupoli. Da allora si è trasformato in una star internazionale. Con il successo planetario si sono accesi sempre più i riflettori sulla vita privata dell'attore, le curiosità morbose del pubblico, ed è infine emerso lo scandalo che gli ha rovinato la reputazione e lo ha portato al gesto estremo del suicidio.

Quando è stato trovato senza vita a bordo della sua auto, in un parcheggio nel centro di Seul, nel distretto settentrionale di Seongbu, Lee era reduce da un interrogatorio di 19 ore, il terzo in due mesi, avvenuto fra il 23 e il 24 dicembre. Tutta colpa di un'inchiesta per uso illegale di droghe aperta ai suoi danni a ottobre, con l'accusa di aver assunto marijuana e ketamina con un'hostess in un bar di Seul. Sul sedile posteriore della macchina è stata trovata una bricchetta di carbone, con molta probabilità lo strumento con cui ha deciso di avvelenarsi con il monossido di carbonio. Prima di uscire di casa, Lee ha lasciato un messaggio «che sembra un testamento», dopo il quale la famiglia ha allertato la polizia.

Insopportabile era diventato il peso della vergogna, dello stigma sociale per essere passato da simbolo di successo, con una bella famiglia, moglie e due figli, a traditore e consumatore di droghe, in un Paese in cui il presidente Yoon Suk Yeol ha dichiarato «guerra totale» agli stupefacenti, dove il consumo di cannabis viene punito con 5 anni di carcere e dove anche i nordcoreani che hanno consumato droghe leggere all'estero, seppure legalmente, sono perseguiti. Lee si era dichiarato innocente, si era anche offerto di sottoporsi a test della verità dopo che alcuni esami anti-droga avevano dato esito negativo o inconcludente. Ma non erano mancate le scuse, imprescindibili nel mondo asiatico, «per aver deluso molte persone» e per il dolore causato alla famiglia. Non è bastato. I contratti saltati e la gogna delle riviste scandalistiche e dei social hanno scavato dentro la star, che è solo l'ultima vittima di un mix di notorietà e scandalo, di salite e cadute che ha di recente portato al suicidio altre celebrità, tra cui il 25enne Moonbin, star del K-pop. Il fenomeno è dilagante in ogni fascia della società e la Sud Corea è il Paese dell'Ocse con il più alto tasso di suicidi. Se dal 1990 il tasso medio nei paesi dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico è diminuito del 16%, in Corea è aumentato del 230%. Quasi 40mila persone si sono tolte la vita fra il 2020 e il 2022, oltre 7mila solo nei primi mesi di quest'anno.

Le difficoltà economiche sono la prima causa, a cui si aggiungono le forti pressioni sui giovani per le performance scolastiche e la vergogna che circonda i problemi di salute mentale.

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