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Sulle tasse i giallorossi rinnegano Renzi: sacrificati gli 80 euro

I tecnici del Pd cestinano il bonus in busta per coprire sgravi Irpef. Aziende penalizzate

Sulle tasse i giallorossi rinnegano Renzi: sacrificati gli 80 euro

Un piano che sembra ispirato a quello della Lega di Salvini. Non la flat tax, che per ovvie ragioni resta fuori dai radar della sinistra italiana. Semmai il Pd si è ispirato al «piano B» del Carroccio, quello che avrebbe dovuto accompagnare il taglio delle imposte generalizzato.

La novità emerge dai documenti dem sul fisco, propedeutici alla scrittura del programma del Conte bis. In sintesi, un rafforzamento delle detrazioni sui redditi da lavoro, da finanziare in parte con l'abolizione («trasformazione» secondo la definizione diplomatica delle fonti democratiche) degli 80 euro di Matteo Renzi

Al momento si tratta di detrazioni Irpef. Ma potrebbe diventare altro, ad esempio uno sconto sui contributi previdenziali, come prevedeva appunto il piano del partito di Matteo Salvini.

Identico anche l'importo. Gli 80 euro di Renzi, come nel piano annunciato da Salvini alle parti sociali, verrebbero trasformati in detrazioni per 100, 120 euro al mese. Resta da definire la platea, comunque chi oggi percepisce il bonus avrà diritto a uno sgravio uguale o maggiore.

Sulla stessa materia si era esercitato negli ultimi mesi il ministro dell'Economia Giovanni Tria. Anche lui, cancellando il bonus Renzi, contava di rimodulare aliquote e agevolazioni portando il vantaggio a 90-100 euro.

Gli 80 euro sono contabilizzati come spesa pubblica, non come riduzione fiscale e complicano la contabilità pubblica. L'idea del Pd e del governo uscente è più o meno la stessa. Tagliare la «spesa fiscale» degli 80 euro, trasformarla in una riduzione delle imposte sui redditi, aggiungendo alla dote del bonus Renzi, circa 10 miliardi, altri 4-5 miliardi.

Non mancano controindicazioni. Il taglio del cuneo fiscale in versione Pd (e anche Lega) dovrebbe andare totalmente a vantaggio dei lavoratori. Non si taglia il costo del lavoro che grava sulle aziende, ma si fa aumentare il netto che il lavoratore percepisce in busta paga. In linea di principio anche Confindustria sarebbe d'accordo. Ma nella lista di misure che potrebbero finire nel programma definitivo di conte c'è anche il salario minimo, cavallo di battaglia dei Cinque stelle. Sono 9 euro all'ora fissate per legge. Una misura rischia di fare aumentare il costo del lavoro di circa sette miliardi di euro. Il taglio del cuneo fiscale voluto dal ministro del Lavoro uscente, Luigi Di Maio serviva anche a compensare il salario minimo. Quella del Pd no.

La costruzione del programma del secondo governo guidato da Giuseppe Conte rischia di essere complicata tanto quanto la partita politica.

Un altro capitolo caldo resta quello delle pensioni. Il Pd sta lanciando messaggi pressanti per ridimensionare Quota 100. Circolano varie ipotesi. C'è la riduzione delle finestre per permettere l'uscita di chi ha maturato 38 anni di contributi e compiuto 62 anni di età, ma anche un innalzamento del requisito anagrafico. Oppure, più semplicemente, la riforma potrebbe non essere più rinnovata dopo il 2021.

Le risorse andrebbero utilizzate per la riduzione delle tasse, magari per sterilizzare definitivamente parte degli aumenti dell'Iva previsti dalle clausole di salvaguardia e scongiurati di anno in anno.

Il M5s potrebbe non fare barricate in difesa di Quota 100, ma le pensioni sono una materia delicatissima per chi governa e il consenso dell'esecutivo in caricato non è così solido da consentire misure impopolari.

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