L'appunto

La superbia di Renzi. Asfalta il Parlamento e uccide il suo Pd

Nonostante i numeri confortanti nelle prime due votazioni, il premier sceglie la linea dura per mettere in un angolo la fronda dem. Il silenzio complice di Mattarella e l'avallo di Napolitano

La superbia di Renzi. Asfalta il Parlamento e uccide il suo Pd

L'impressione è che Matteo Renzi ci stia quasi prendendo gusto. Ed abbia deciso scientificamente di alzare sempre più l'asticella, magari proprio con l'intento di provocare ed irritare i suoi interlocutori. Di certo, con l'obiettivo di chiudere definitivamente il tira e molla con la minoranza interna al Pd, visto che comunque finisca la partita sull' Italicum è chiaro che gli equilibri all'interno dei democratici sono destinati a cambiare. Sia nel caso, assai improbabile, che l'esecutivo vada sotto su una delle tre fiducie che si voteranno alla Camera tra oggi e domani, perché questo significherebbe andare dritti a una crisi di governo. Sia nel caso, decisamente più plausibile, che la riforma elettorale passi senza troppi affanni, così che il premier possa finalmente avere in mano la pistola carica di eventuali urne anticipate in cui si voterebbe con una sistema - l' Italicum , appunto - che gli dà il potere assoluto sulle liste. È evidente che a quel punto il dissenso sarebbe definitivamente silenziato davanti al rischio di una fine anticipata della legislatura, peraltro con pochissime possibilità per i frondisti di rimettere piede in Parlamento al giro successivo.

Di qui, la scelta di Renzi di tirare dritto come un treno in corsa, nonostante i segnali arrivati in tarda mattinata alla Camera fossero distensivi. Nelle prime votazioni di ieri, infatti, la maggioranza ha sostanzialmente tenuto, perdendo poco meno di 15 voti sui 396 di maggioranza. Al netto della minoranza dem, insomma, un risultato non solo ottimo ma che lasciava immaginare un certo margine di sicurezza anche per le votazioni in programma oggi. Soprattutto considerando che nei due scrutini segreti la maggioranza è stata anche più alta (385 e 386), segno che senza voto palese la convergenza sull' Italicum - e il timore di uno show down verso la crisi - era ancora più ampia.

È per questo che la decisione di convocare il Consiglio dei ministri lampo che ha autorizzato il governo a porre la questione di fiducia ha colto alcuni alla sprovvista. Anche se, con il senno dei poi, è evidente che Renzi avesse già deciso il da farsi da giorni, a prescindere dal risultato del voto di ieri. Rilanciare, sfidare la minoranza dem e incunearsi nella spaccatura tra Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza e, di fatto, azzerare il Pd. Approfittando del silenzio, sempre più pesante, di Sergio Mattarella. Che ieri ha pure avuto una sorta di placet dal suo predecessore, visto che Giorgio Napolitano, interpellato sulla riforma elettorale, si è limitato a dire che «la valutazione spetta al governo» e che lui «non intende entrare» in una storia «talmente tanto ingarbugliata».

Alla fine, dunque, quella che passa è la linea dei cosiddetti falchi, dal ministro Maria Elena Boschi al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti passando per Ettore Rosato. Con il Pd che esce dalla giornata di ieri se non esanime di certo squassato. Basti pensare che i predecessori di Renzi alla segreteria dem (Pier Luigi Bersani) e a Palazzo Chigi (Enrico Letta) hanno già fatto sapere che non voteranno la fiducia. La frattura, insomma, è netta. Forse proprio come auspicava un Renzi mai come ieri deciso ad andare al redde rationem con i suoi.

Con l'intento, peraltro, di chiudere subito la partita sull' Italicum , visto che qualsiasi ritocco alla Camera avrebbe comportato il ritorno del ddl al Senato per un'altra lettura. L'obiettivo del premier, infatti, è potersi giocare il via libera definitivo alla nuova legge elettorale nel prossimo mese di campagna elettorale. Decisamente un buon biglietto da visita dopo poco più di un anno di governo, la dimostrazione di essere capace di mantenere le promesse fatte.

Anche se il prezzo da pagare è da una parte l'esautorazione del Parlamento (peraltro su una legge chiave per la tenuta democratica) e dall'altra la devastazione del Pd.

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