Cronache

Supermarket nelle ville venete? No grazie, l'arte non si (s)vende

"Italia Nostra" propone di aprire centri commerciali dentro i gioielli palladiani per salvarli. La proposta non convince

Supermarket nelle ville venete? No grazie, l'arte non si (s)vende

Lo chiamano «il supermercato più bello d'Italia». È quello che nel 2016 è stato aperto in centro a Venezia, trasformando il Teatro Italia, un grazioso teatro affrescato in stile liberty nei primi decenni del Novecento, in un centro commerciale dove comprare dentifrici, assorbenti e carote lesse.

Sicuramente si è ispirata a questo esempio Italia Nostra, sezione di Treviso, che ha proposto di trasformare le ville venete, bisognose di restauri, in ipermercati, rispettosi con parcheggi non impattanti. Viene da chiedersi se è la stessa associazione Italia Nostra che, non un secolo fa, ma pochi anni fa si scagliava a Venezia contro la trasformazione del Fontego dei Tedeschi, che cadeva a pezzi, in un centro commerciale firmato Benetton, ora visto come modello positivo da imitare per le ville venete (la terrazza panoramica del Fontego, ad accesso gratuito, valorizzata dalla ristrutturazione, è uno dei luoghi panoramici più richiesti dai turisti); e se è la stessa Italia Nostra che, sempre pochissimi anni fa, scriveva in un comunicato ufficiale: «il bisogno di far cassa pare la base delle scelte amministrative e allora si vende tutto quel che si può, perfino gli spazi, e così gli edifici più prestigiosi si trasformano in grandi manifesti pubblicitari».

Ci incuriosisce questa svolta turbo-capitalistica di Italia Nostra (anche se già ci sono dei distinguo dentro l'associazione). Ma la proposta, pur avendo la storia dalla sua parte (tutti i luoghi nei secoli cambiano destinazione d'uso), non convince per vari ordini di problemi. Il primo è politico: se una villa settecentesca la trasformi in un supermercato, domani chi può dire di no ad un palazzo affrescato che vuole ospitare un sexy shop? E se un sito archeologico, per fare cassa, vuole trasformarsi in un campo da tennis? E se un museo civico, di quelli che hanno due visitatori al giorno, volesse trasformarsi in una palestra con le opere d'arte ben tutelate dalle vetrine e attorno cyclette, panche per gli addominali e accessori per il fitness? Il secondo problema è attuativo: le ville venete sono a più piani. Cosa fai per mettere le scale mobili per i carrelli della spesa? Sfondi pareti e affreschi? Cosa significa «parcheggi non impattanti» quando girano attorno alla villa migliaia di automobili per caricarsi i prodotti comprati? Il terzo problema è normativo: se le ville venete, che un'organizzazione internazionale chiamata Unesco ha riconosciuto - nei loro esiti artistici migliori - Patrimonio dell'Umanità, vengono trasformate tranquillamente in supermercati, cosa ci stanno a fare Codice dei Beni Culturali, Soprintendenze e Ministero? Cosa tutelano? Cosa vincolano? Aboliamoli tranquillamente e diciamo: per problemi economici, il vincolo può essere ogni volta svincolato.

A un liberale potrebbe anche andar bene, perché per lui la libera determinazione delle persone, dei mercati e dei territori è superiore a ogni cosa; ma come la mette Italia Nostra che, dai suoi fondatori in avanti, è sempre stata un'associazione che ha fatto della tutela pubblica (gestita sovranamente dallo Stato) e della preservazione paesaggistica dell'Italia contadina e signorile del primo Novecento (il paesaggio incontaminato con i cipressi e le colline intatte) il proprio modello di riferimento da divulgare anche nelle scuole? Bocciando la proposta turbo-capitalistica, stiamo in attesa di vedere gli sviluppi (auguriamoci di modernità) in seno a questa illustrissima associazione.

Nel frattempo, per le ville venete, come per la gran parte del patrimonio italiano, la privatizzazione e l'apertura al mercato non significano mortificazione dell'arte e dei suoi tesori.

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