Economia

Tagli e meno tasse: vince chi convince

Tagli e meno tasse: vince chi convince

La vittoria di Emmanuel Macron, che era un volto sconosciuto e ha fatto solo una breve campagna elettorale, senza un partito organizzato alle spalle, si spiega con il fatto che i francesi «votano con il portafoglio» e che egli ha raccolto i voti del ceto medio: non la sua «pancia», ma il buon senso e la natura moderata di questo ceto, che, come il nostro, ha una elevata propensione al risparmio e alla proprietà immobiliare e non ama l'inflazione, ma - a differenza di quello tedesco- non è fanatico dell'eccesso di rigore monetario.

Il modello di economia e di organizzazione sociale che Macron rappresenta e che è quello di un moderato, esperto di economia e di finanza, in particolare proprio nella gestione del risparmio delle famiglie (come giovane banchiere nel gruppo Rothschild, dopo un periodo di carriera come ispettore delle finanze), è per i francesi rassicurante ed è interessante anche per noi in Italia, che abbiamo un sistema economico analogo, una finanza pubblica con la spesa al 50% del Pil come loro e un mercato del lavoro molto simile al loro e tante altre somiglianze, nella storia dei partiti, nella struttura sociale e familiare e - ovviamente - nella religione. C'è però una differenza, che sta nel fatto che la Francia ha il sistema bancario e assicurativo più importante di Europa (più di quello della Germania).

Nel programma del «liberal socialista» Macron c'è, fra le altre cose, in prima fila la riduzione della tassazione della casa per l'80% della popolazione e la riduzione delle imposte sul reddito delle persone e delle imprese, accompagnata - anzi preceduta - dal taglio delle spese sia dello Stato che degli enti locali, in particolare con riguardo ai settori con eccesso di personale. Il taglio dei posti di lavoro nel pubblico impiego dovrebbe essere di 120mila unità. Il programma di taglio della spesa pubblica di Macron è molto ambizioso, si tratta di 5 punti di Pil in cinque anni. Non è che Macron non si preoccupi della disoccupazione, ma intende ridurla dal 10 al 7%, mediante la riduzione delle imposte sulle imprese, in particolare per le start up e consentendo maggiore flessibilità nei contratti di lavoro e nel mercato del lavoro, stabilendo la prevalenza della contrattazione decentrata locale e aziendale sui contratti nazionali di categoria, che dovrebbero rimanere validi solo per i principi generali. Invece, Macron è molto cauto per il sistema delle pensioni. È restio ai cambiamenti. Invece vorrebbe ridurre l'assistenzialismo delle indennità di disoccupazione prolungate concesse anche a chi non accetta le offerte di lavoro disponili per tre volte e per chi non accetta di partecipare alle attività di riqualificazione.

Un altro punto del suo programma è la ripresa degli investimenti pubblici e lo sviluppo della digitalizzazione. Ma non si può affermare che questo sia fatto solo per compiacere le imprese che operano nel settore in quanto vuole colmare le lacune che ci sono nel regime fiscale a favore delle imprese digitali. Per il bilancio pubblico mira al pareggio strutturale, in modo serio ed effettivo, ma senza eccessi dir rigorismi. Ovviamente, si può sostenere che il suo programma è un compromesso, fra esigenze sociali ed esigenze liberali o liberiste, ma questo ai ceti moderati non dispiace. Si presta a ondeggiamenti. È una via di mezzo. Come mostra il fatto di aver guadagnato l'appoggio al secondo turno sia dei gollisti che dei socialisti. Ma è ciò che serve per stare con i piedi per terra.

Essendo la politica, anche in economia, un'arte del possibile.

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