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Il Tar decapita i musei: via i direttori manager e stop agli stranieri

Bocciate 5 nomine e la scelta di figure non italiane. Franceschini: figuraccia mondiale

Il Tar decapita i musei: via i direttori manager e stop agli stranieri

Norme scritte male e applicate peggio, sommate alla pervasività della magistratura, hanno prodotto l'ennesimo pasticcio all'italiana. Questa volta, però, la figuraccia è in mondovisione perché il Tar del Lazio ha annullato le nomine di cinque direttori dei principali musei italiani (Palazzo Ducale di Mantova, Galleria Estense di Modena e i musei archeologici di Taranto, Reggio Calabria e Napoli), mentre il direttore del sito di Paestum, Gabriel Zuchtriegel, si è salvato per un difetto di notifica. In pratica, i magistrati amministrativi hanno smontato la riforma del ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, che prevedeva la possibilità di arruolare esperti internazionali per la guida delle più importanti istituzioni a tutela del nostro patrimonio storico-artistico cui è stata concessa l'autonomia gestionale e finanziaria.

Le sentenze 6170 e 6171 della sezione seconda-quater del Tar del Lazio giudicavano nel merito i ricorsi dei dirigenti ministeriali Giovanna Paolozzi Strozzi e Francesco Sirano, «bocciati» alle prove di selezione per i sei istituti in questione. In particolare, il collegio presieduto da Vincenzo Pasanisi ha contestato l'applicazione dell'articolo 38 del Testo unico sul pubblico impiego del 2001 (governo Amato, ministro della Funzione pubblica Bassanini, sottosegretario alla Funzione pubblica proprio Franceschini), secondo cui i cittadini non italiani non possono ricoprire incarichi dirigenziali nella Pa. Il bando di concorso, ammettendo esperti stranieri alla direzione dei musei, è pertanto «illegittimo». Il Tar ha inoltre definito «magmatica» la stessa procedura di selezione questionando sulla natura «criptica e involuta» dell'assegnazione dei punteggi ai candidati ammessi al colloquio finale. Colloqui poco trasparenti visto che si sono svolti a porte chiuse e in due casi anche via Skype perché i concorrenti risiedevano all'estero. Evidente il sospetto di disparità di trattamento.

In buona sostanza, il Tar lascia pensare che la commissione abbia favorito alcuni rispetto ad altri, tenuto conto che la Bassanini impone di ricercare le competenze nell'ambito della Pa. Come ha sottolineato a Effetto giorno su Radio24 Marcello Clarich, ordinario di Diritto amministrativo alla Luiss di Roma, «più che un cavillo del Tar si tratta di una svista del legislatore che si è dimenticato la deroga alla norma generale». E l'invadenza della magistratura in un atto politico come la scelta di un dirigente, sebbene «travestita» da concorso per titoli ed esami? Le sentenze cercano di per sé di «parare il colpo» alla naturale critica: quelle nomine erano atti amministrativi e perciò sindacabili da parte del magistrato. «Franceschini senza coraggio, si è fatto imporre i nomi dal presidente della commissione e della Biennale Baratta e la scelta è diventata illegittima, mentre se li avesse nominati direttamente non ci sarebbe stato nulla da obiettare», ha commentato lo storico dell'arte Vittorio Sgarbi.

«Abbiamo sbagliato perché non abbiamo provato a cambiare i Tar», ha commentato il segretario Pd, Matteo Renzi, attirandosi gli strali dell'associazione dei magistrati amministrativi. Il ministro Franceschini («Abbiamo fatto una figuraccia davanti al mondo», ha dichiarato) ha preannunciato il ricorso al Consiglio di Stato per ottenere una sospensiva e ribadito la qualità delle commissioni giudicatrici composte da esperti internazionali. Il danno, però, è già stato fatto.

E l'Italia ne esce male.

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