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Tav, vertice ad alta tensione L'Ue: perderete 800 milioni

Il M5s cerca l'exit strategy. Pronta la lettera di Bruxelles Consob, scoppia il caso Savona: i grillini lo boicottano

Tav, vertice ad alta tensione L'Ue: perderete 800 milioni

«Prenderemo tempo, ma in fretta». «Speriamo di farcela stasera, se no continueremo a oltranza». «A Salvini e Di Maio non ho nulla da chiedere, se non di sedersi al tavolo in modo responsabile». E comunque «non vedo rischi per il governo».

Bastano le dichiarazioni senza capo né coda che il premier Giuseppe Conte ha dispensato per tutta la giornata, mentre era a zonzo per Belgrado, a dare idea del clima surreale in cui l'esecutivo affronta il nuovo atto della Grande Farsa sulla Tav. Ieri sera a Palazzo Chigi è iniziato l'ennesimo «vertice decisivo» sul tema: entro questa settimana bisogna dire sì o no all'avvio dei bandi di gara, visto che lunedì si deve riunire il CdA della concessionaria Telt, e che sono in ballo 300 milioni di contributi Ue. I Cinque Stelle continuano a dire che quell'«inutile buco» non si deve fare né ora né mai, la Lega (che prima delle elezioni 2018 diceva la stessa cosa) ora invece afferma di essere a favore dell'opera perinde ac cadaver, in mezzo c'è Conte che dispensa frasi vacue e che viene indicato come il «mediatore» che dovrà trovare il «punto di caduta» tra i due alleati assestati su posizioni inconciliabili.

Mentre a sera Di Maio e Salvini si presentano a palazzo Chigi a muso lungo, ciascuno con un esercito di esponenti, sottosegretari, sottopanza e tecnici schierati rispettivamente per il no o per il sì, su Roma piomba l'avvertimento della Ue: l'eventuale no alla Tav comporterà la violazione di due regolamenti del 2013 e la perdita di circa 800 milioni, di cui 300 milioni entro marzo.

Anche se in realtà tutti sanno come probabilmente finirà: via libera ai bandi, «che tanto sono revocabili», spiegano i grillini, ma nessuna decisione chiara sull'opera fino alle elezioni europee. Salvini - che ha il terrore del voto in Piemonte - racconterà ai suoi che la Tav si farà, Di Maio (cui dell'opera non importa nulla, ma che teme l'implosione del partito e della sua poltrona) racconterà ai suoi che la Tav si fermerà; il primo cavalcherà il referendum lanciato da Chiamparino (regalando così la leadership sul tema al Pd); il secondo medita di far presentare in Parlamento una proposta NoTav, onde farsela bocciare dai cattivissimi pro Tav e poter raccontare ai gonzi che lui ce l'ha messa tutta.

L'unica buona notizia della giornata (almeno per la sua famiglia) la dà l'ineffabile ministro Toninelli: «Non ho mai minacciato le dimissioni», assicura, smentendo i retroscena di stampa: ce lo terremo fino alla fine, Tav o non Tav.

Nel frattempo i simpatici alleati di governo dispongono sul terreno trappole e ricatti incrociati, per tenersi l'un l'altro sotto pressione. Ieri i leghisti confidavano il forte timore che i grillini oggi facciano «scherzi da prete» in Commissione Finanze, che deve dare via libera alla nomina dell'ex ministro in quota Lega Savona a capo della Consob. La fronda grillina capitanata dalla presidente della Commissione Carla Ruocco, appassionata fan del trombato candidato Consob Marcello Minenna, potrebbe per vendetta impallinare l'anziano autore del pregevole saggio Politeia (le cui copie sono andate a ruba, come è noto, presso il ministero del medesimo Savona). Poi c'è la spada di Damocle tenuta sulla testa di Salvini: il 20 marzo in Senato si vota sul processo per il caso Diciotti, e Salvini deve assicurarsi il salvacondotto da M5s. Così ha fatto fissare per il giorno successivo la mozione di sfiducia a Toninelli: se il leghista finisse davanti ai magistrati, il grillino finirà a Brescia a vendere polizze assicurative.

Il clima nella maggioranza è da Chicago anni 30, ma una cosa è certa: pur di tenere in piedi il governo, Salvini e Di Maio (per non parlar di Conte) faranno di tutto per impapocchiare un'intesa.

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