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La tentazione Palazzo Chigi Così Grillo pensa alla scalata

Il capo si è ripreso il Movimento ma lascia dubbi sulla premiership. I big si sfilano: ora in corsa resta solo lui

La tentazione Palazzo Chigi Così Grillo pensa alla scalata

Grillo che si riprende la scena, Grillo Fondatore e Garante che cerca di ricompattare un Movimento litigioso, Grillo leader unico che ridimensiona Di Maio e Di Battista e mette in riga la Raggi. Grillo che rilancia la battaglia per le elezioni e guarda a Palazzo Chig al grido «l'impossibile non esiste».

«Io non sono capo politico, vorrei mi chiamaste l'Elevato», motteggia alla festa di Palermo. Più che segnali di forza sembrano indizi di debolezza, perché di fronte allo spaesamento dei suoi «ragazzi», l'un contro l'altro armati come si è visto a Roma, Beppe deve rinunciare al passo di lato, anche al passo indietro e ricordare che il capo è sempre lui.

«I Cinque Stelle sono un movimento orizzontale ma con un capo verticale. A dispetto di tutte le affermazioni sull'assenza di capi e sulla democrazia diretta. Un capo c'è, anche se in qualche modo esterno al movimento, il che crea un'opacità nella vita M5S». Il politologo Alessandro Campi mette il dito nella piaga. «Nei momenti di difficoltà l'eccezione M5s torna ad essere la regola: ci vuole qualcuno che comanda. È un po' una contraddizione da risolvere, visto che accusano gli altri partiti di vecchie logiche ma poi, alle strette, le sposano anche loro».

Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, confessano candidamente la loro inadeguatezza a Lucia Annunziata su Rai3. Respingono come fosse un'offesa la definizione di «dirigenti», fanno un bagno di umiltà, non spiegano il loro ruolo nel Direttorio sfasciato-allargato. «Qui - riconoscono-c'è soltanto Grillo garante del movimento, che da quando non c'è più Casaleggio ha capito che deve mettere a disposizione tutte le sue energie per portare il M5s al governo del Paese».

Appunto, al governo. Ma con quali uomini? Se Grillo ha sempre respinto l'idea di diventare il primo premier-comico della storia d'Italia, Di Maio che sembrava il candidato a Palazzo Chigi appare in disgrazia dopo i guai con Raggi-Muraro e Di Battista non riesce ad uscire dal suo clichè di descamisado in scooterone, a governare il Paese chi ci penserà?

Come Forrest Gump Grillo aveva detto di essere «stanchino» a novembre 2014, nominando i cinque del Direttorio, adesso riconosce che sono i parlamentari ad apparire «un po' stanchi». Dunque, c'è bisogno di lui. Ma la linea «niente vip, niente big», la fustigazione pubblica delle ambizioni personali, la stessa timidezza del giovane Davide Casaleggio, dimostrano alla fine che aspiranti leader non ce ne sono. Tranne Grillo, che leader non vuol essere nel senso stretto del termine. Quindi, rianima il popolo con i suoi vaffa, fa ridere con le battute al vetriolo sui potenti, schiocca la frusta per riportare ordine nella scolaresca, ma cerca un successo alle elezioni al buio, non attorno alle persone ma al Movimento di protesta in astratto. Giusto l'operazione-Raggi e molti romani oggi si mangiano le mani per averla votata e poi scoperto chi è. L'esempio non è dei migliori, a giudicare dai primi mesi.

Eppure, Beppe evidentemente si sente così forte rispetto agli avversari da ottenere cambiali in bianco alle elezioni. Investiture? «Smentisco!», dice Di Maio. Futura classe dirigente? «Falsità!», inorridisce Di Battista. «Non è essere volti televisivi che ci rende dirigenti del movimento», assicura Di Maio. E Di Battista: «Le regole valgono per tutti. Netto a disposizione del movimento le mie capacità e così tante altre persone». La parola d'ordine è: niente protagonismi.

Sul palco sale uno solo: Grillo l'Elevato.

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