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Terrore a Milano, rom in fuga ne investe un altro

MilanoDue pentole fumanti di risotto davanti alla Stazione Centrale. A servirlo una donna italiana e una di origine africana, per un pranzo che tanti profughi credevano impossibile, in questa giornata in cui il cielo dice autunno. Accade a Milano, mentre il comitato per l'ordine e la sicurezza guidato dal prefetto, Francesco Paolo Tronca, si riunisce al binario 21, per un vertice fiume che è un continuo sopralluogo, durato tutto il giorno, con il sindaco, Giuliano Pisapia, e i rappresentanti delle forze dell'ordine. «Allora, li ospita lei a Sky?» è sbottato Pisapia, messo alle strette dai giornalisti che gli chiedevano che fine faranno tutte queste persone, ora che il mezzanino della Stazione è stato chiuso e recintato con una rete, e i profughi si sono spostati fuori. Nervosismo alle stelle.

Accade che persone generose offrano il risotto, mentre l'esasperazione sale e non sembra sedarsi la violenza nelle periferie, in queste zone dove l'immigrazione cresce senza controlli e l'integrazione sembra un sogno impossibile. Ieri sera, dopo una lite e una sassaiola in un campo rom nel nord della città, un nomade è morto travolto da un'auto guidata da un altro nomade, che si è dato alla fuga. E se è stato preso un altro esponente della gang che due notti fa ha ferito col machete un capotreno, staccandogli un braccio, a Pero, poco distante dall'Expo, un egiziano ha minacciato i passanti con una grossa roncola.

Allo stremo anche chi fugge da Paesi in guerra per ritrovarsi in stazione, nei giardinetti o in strada, senza servizi igienici, in condizioni in cui mantenere la dignità è difficile, prigionieri nei confini dell'Europa che si restringono come una trappola. Dopo lo sgombero del mezzanino diventato campo profughi (più numerosi ora che la frontiera del Brennero e il confine di Ventimiglia sono sbarrati per chi vorrebbe proseguire, in cerca di parenti con cui ricongiungersi), molti si sono semplicemente fuori dalla Stazione, nei giardini, o sotto i portici vicini. Il questore, Luigi Savina, ha promesso che ci sarà un hub per ospitare i migranti al massimo entro quattro giorni. Intanto, un centro di registrazione e un presidio per i pasti sono velocemente allestiti in due negozi vuoti, sotto la monumentale Galleria della Carrozze. Una soluzione annunciata come temporanea.

L'anno scorso 55mila migranti sono stati registrate a Milano e, tra loro, circa in 40mila hanno chiesto asilo. Nel 2015 i numeri sono cresciuti del 20 per cento. «Arriveremo a 60mila» dicono gli operatori. Tanti in prima linea: Arca, Casa della Carità, Caritas. L'ex Sos Stazione Centrale di don Mazzi e il dopolavoro Fs pronti a tornare operativi a breve. Il Comune ha ipotizzato di aprire due punti di accoglienza nel popoloso quartiere di Bonola e destinare ai profughi spazi della scuola Manzoni, a ridosso della centralissima Corso Como, di fronte al tempio gastronomico di Eataly. Il luogo è stato scelto perché vicino a Porta Venezia, dove vivono accampati tanti eritrei. Sono soprattutto loro ad arrivare, ora che i siriani, per evitare la Libia, dove rischiano nuove persecuzioni, preferiscono Grecia e Turchia, per risalire l'Europa sulla via dei Balcani.

Il presidente della Regione, Roberto Maroni, accusato dal Comune di essere poco collaborativo, ha detto no a una tendopoli come quella di Roma e anche alle caserme («ci sono i topi»), minacciando sgomberi. A sollevare dubbi anche l'Unicef, per i tanti bambini che si troverebbero a vivere in pericolosa promiscuità.

La tensione non diminuisce.

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