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Le toghe fondano il partito della droga libera di Stato

La cannabis legale seduce i giudici. Da Woodcock al capo della Dna Roberti, coro di sì: «Serve contro gli spacciatori»

Le toghe fondano il partito della droga libera di Stato

Le toghe si iscrivono al partito della cannabis di Stato. Dopo gli appelli di scrittori (vedi Saviano), politici, medici e personaggi dello spettacolo, la marijuana libera seduce la magistratura.

La polemica riparte venerdì, quando il pm napoletano Henry John Woodcock scrive una lettera a La Repubblica: «Caro direttore, bisogna legalizzare la marijuana». Secondo il magistrato «si tratta di un fiume che sarà difficile arrestare. Recentemente anche il premier canadese Justin Trudeau si è fatto promotore di una legge di legalizzazione dell'uso di marijuana per scopi ricreativi e, anche in Italia, qualcosa si sta muovendo». Il riferimento è alla sentenza della Corte Costituzionale del 12 febbraio che ha bocciato la legge Fini-Giovanardi e ristabilito importanti differenze di pena tra droghe leggere e droghe pesanti. C'è poi la proposta di legge sulla legalizzazione, con in prima fila il senatore Benedetto Della Vedova. Woodcock ha partecipato ieri e venerdì a Napoli a un convegno sul tema, dal titolo «Prima (invece) di punire» organizzato dall'associazione «Not Dark Yet». Franco Roberti, procuratore nazionale Antimafia, si unisce al coro dell'antiproibizionismo in toga: «Siamo favorevoli a una disciplina che attribuisca ai Monopoli di Stato, in via esclusiva la coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati». Il capo della Dna però precisa: «Siamo radicalmente contrari alla previsione di autorizzare la coltivazione della cannabis ai privati».

Già nei mesi scorsi si era schierato a favore della legalizzazione il presidente dell'Anac Raffaele Cantone: «Sarebbe un modo intelligente per evitare contatti tra i giovani e le mafie», e poi: «Una legalizzazione controllata potrebbe avere effetti migliori rispetto allo spaccio che avviene alla luce del giorno nella totale e assoluta impunità». Una giravolta, perché lo stesso Cantone ammetteva: «Fino a poco tempo fa ero contrario perché non mi convincevano gran parte degli argomenti, che servisse cioè per sconfiggere la criminalità organizzata». Resta sempre contrario un altro magistrato «mediatico» come Nicola Gratteri, capo della Procura di Catanzaro, che più volte ha ribadito: «Legalizzare le droghe leggere non serve a colpire le mafie, uno stato democratico non legalizza ciò che danneggia la salute dei cittadini». Tra i favorevoli, da Bologna arriva il commento di Valter Giovannini, procuratore a capo del gruppo «droga» nel capoluogo emiliano: «A mio avviso la produzione di cannabis attraverso una filiera legale comporterà il necessario rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sul lavoro e asetticità della produzione. Fatalmente, a meno che lo Stato non voglia lavorare in perdita, costerà di più rispetto a quella illegale». Su posizioni simili l'ex giudice di mani Pulite Nicola Quatrano, una toga impegnata da anni nella difesa dei diritti civili in Africa. Quatrano ricorda: «In Parlamento giace ancora la proposta sulla legalizzazione della cannabis. Il proibizionismo è la risposta peggiore». E nella Procura di Napoli spuntano le prime crepe.

Il pm anticamorra Catello Maresca osserva: «Legalizzare la distribuzione delle droghe leggere farebbe ritenere lecito un comportamento ritenuto oggi riprovevole da molti ragazzi, avvicinandoli all'uso di queste sostanze».

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