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Le toghe irrompono nella crisi politica. Il centrista Cesa indagato per mafia

Il leader Udc in un'inchiesta di 'ndrangheta per una cena del 2017 con un imprenditore. Si dimette da segretario del partito ma si difende: "Sono totalmente estraneo ai fatti"

Le toghe irrompono nella crisi politica. Il centrista Cesa indagato per mafia

Da possibile «costruttore» a indagato il passo è breve. Il segretario dell'Udc, bandiera intorno alla quale il governo puntava di agglomerare un po' di parlamentari «responsabili» per fornire una gambetta supplementare ai suoi non solidissimi numeri, finisce nei guai per un pranzo del 2017, e si ritrova indagato dalla procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, per associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso. Cesa, che si è subito dimesso dall'incarico di segretario nazionale del partito, secondo l'indagine «Basso profilo» condotta da Dia e procura avrebbe preso parte, nel 2017, quando era europarlamentare, a un pranzo romano organizzato dal segretario regionale calabrese dell'Udc, Franco Talarico (attuale assessore regionale al Bilancio, da ieri ai domiciliari), per presentargli Antonio Gallo, imprenditore calabrese al centro dell'inchiesta. Gallo è infatti accusato, come ha spiegato Gratteri in conferenza stampa, di aver «agganciato politici per truccare gare di fornitura di prodotti di sicurezza sul lavoro, prima sul territorio poi a livello nazionale». L'imprenditore, in questa sua ricerca di entrature per ampliare il suo business, si rivolge secondo la procura alla famiglia di ndrangheta dei De Stefano-Tegano per organizzare la campagna elettorale di Talarico nel 2018 (che non verrà però eletto), e proprio in quel periodo, secondo Gratteri, organizza anche il pranzo romano con il «suo» candidato e con Cesa. Gallo, per la procura, cercava di aggiudicarsi degli appalti, e anche se, spiega Gratteri, non è stato possibile «documentare» quell'incontro a tavola, perché «all'epoca, siamo nell'estate 2017, Cesa era parlamentare», a inguaiare Cesa è una successiva intercettazione ambientale dello stesso Gallo, dalla quale «emerge sostanzialmente - insiste il procuratore capo di Catanzaro - che Gallo avrebbe dovuto pagare il 5 per cento di provvigione».

L'ormai ex segretario Udc, insomma, «è indagato per una frequentazione con l'imprenditore Gallo e con Tommaso e Saverio Brutto (un ex consigliere comunale di Catanzaro e suo figlio, attuale assessore al Turismo per l'Udc nel Comune di Simeri Crichi, ndr) relativamente alla richiesta di Gallo per l'aggiudicazione di alcuni appalti», conclude Gratteri.

E mentre l'inchiesta prosegue, con una cinquantina di misure cautelari, un volume d'affari scoperto pari ad almeno 250 milioni di euro e il coinvolgimento, oltre agli imprenditori e a diversi ndranghetisti, anche di un notaio e di un ex ufficiale della Finanza, a tenere banco è ovviamente il coinvolgimento di Cesa, che in questi giorni era sui giornali per ben altri motivi.

Il politico centrista, la cui casa ieri mattina è stata perquisita dalle forze dell'ordine, ha reagito come detto con un immediato passo indietro, pur proclamandosi del tutto estraneo alle accuse che gli sono piovute dalla Dia e dalla procura di Catanzaro. «Ho ricevuto un avviso di garanzia ha spiegato Cesa ieri in una nota - su fatti risalenti al 2017. Mi ritengo totalmente estraneo, chiederò attraverso i miei legali di essere ascoltato quanto prima dalla procura competente. Come sempre ho piena e totale fiducia nell'operato della magistratura. E data la particolare fase in cui vive il nostro Paese rassegno le mie dimissioni da segretario nazionale come effetto immediato». A difendere il centrista è il «collega» Gianfranco Rotondi, presidente della Fondazione Dc, che definisce Cesa «un galantuomo» e Gratteri «un magistrato autorevolissimo e stimato per la sua autonomia», dicendosi «sicuro che la vicenda si chiarirà in tempi rapidissimi» e invitando Cesa a tornare sulla sua decisione di dimettersi da segretario: «Essere indagati, per giunta per circostanze oggettive, - ha concluso Rotondi - non significa perdere credibilità».

Durissimo, invece, il pentastellato Alessandro Di Battista: «Chi ha condanne sulle spalle e indagini per reati gravi, perché Cesa non è certo indagato per diffamazione, non può essere un interlocutore».

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