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Imprese, fisco, pubblico impiego: un Paese governato dai giudici

Le toghe stravolgono la volontà del Parlamento interpretando le leggi. Dai casi Ilva e Fincantieri alle tasse per le scuole cattoliche, gli ultimi pasticci

Imprese, fisco, pubblico impiego: un Paese governato dai giudici

Complici le troppe vigliaccherie del Parlamento i giudici ormai dettano legge. L'incapacità politica di regolare certi fenomeni porta a norme frutto di compromesso che lasciano ampi spazi d'interpretazione alla magistratura. E le toghe, sempre più spesso, ne approfittano per sconfinare dai loro compiti e arrivare anche a sovvertire la volontà del legislatore. Dà una mano il quadro europeo, che fornisce a volte la direttiva giusta per piegare la norma in un senso o nell'altro.

È storia di tutti i giorni. Da Corti e Tribunali arriva una lettura delle leggi che determina conseguenze, talvolta contraddittorie, nella vita dei cittadini. Al giudice tocca la parola «finale» sulla legge Severino e il caso De Luca come sull'Ilva di Taranto, sul cambiamento di sesso e sulle pensioni, sulle tasse per le scuole cattoliche e sull'immigrazione, sulla fecondazione artificiale e sui contratti dei calciatori.

Indicano la strada della legge Corte costituzionale, Cassazione, Tar. Anche la singola toga di Canicattì sa di poter conquistare la prima pagina con una sentenza «innovatrice», un'interpretazione «evolutiva» che legge la norma fuori dal contesto in cui è nata, in progress. Presto, perfino un giudice di pace si metterà a legiferare.

Molto dipende da come sono scritte le leggi, dall'ambiguità che passa a chi deve interpretarle la palla dell'applicazione alla vita concreta. Sui temi più delicati e dov'è difficile trovare l'accordo politico, spesso in parlamento si arriva a compromessi-papocchio. E quando non è chiara la volontà del legislatore è facile per il giudice sottrargli il privilegio e riscrivere soggettivamente o, peggio, ideologicamente: manipolare, sovvertire, strumentalizzare.

Succede soprattutto sui «nuovi diritti», quelli che i giuristi chiamano «di quarta generazione» e riguardano manipolazioni genetiche, eutanasia, internet. Per il magistrato rampante c'è ampio spazio quando si tratta di coppie gay, fecondazione artificiale, trans, regole del web. Ieri la Cassazione ha deciso che i siti internet non possono pubblicare, senza consenso dell'interessato, foto osè. Su coppie e famiglia spesso i giudici danno il meglio, entrano in camera da letto e discettano di corna, obbligano i genitori a mantenere figli attempati, a mandarli a messa e al catechismo se sono battezzati. Ricordiamo la sentenza della Cassazione che entrava nell'uso dei jeans in caso di stupro.

Basta pensare alla legge 40 sull'inseminazione eterologa: non c'è parte che non sia stata corretta, colpita, reinterpretata da Cassazione, Corte europea dei diritti umani o singoli magistrati, spesso ribaltando pronunce precedenti e arrivando a conclusioni imprevedibili.

E poi c'è l'esempio del reato di immigrazione clandestina, di fatto depenalizzato prima che intervenisse il Parlamento, dal momento in cui la Consulta ha dichiarato illegittima l'aggravante, la Corte europea di giustizia ha bocciato la legge, la Cassazione l' ha circoscritta e i giudici hanno iniziato a firmare sentenze non solo sui processi in corso ma anche su quelli già chiusi.

L'altro grande campo d'intervento giudiziario è quello del lavoro. Ieri la Cassazione ha detto che la perdita del lavoro non è un «grave danno alla persona». Anche qui le norme Ue forniscono materia prima per scardinare leggi italiane in nome del principio della «prevalenza» di quelle sovranazionali. Spesso i Tar sono i più oltranzisti, pretendendo di decidere loro prima della Consulta quando e come disapplicarle. Adesso, i giudici del lavoro già si fregano le mani pensando al contenzioso in arrivo per il Jobs act .

Che la tendenza nella magistratura ad utilizzare principi costituzionali o europei per creare nuove leggi si stia diffondendo sempre più lo denuncia da tempo uno schieramento trasversale di giuristi, da quelli conservatori a quelli più progressisti. E si riconosce l'unicità del caso italiano: negli altri Paesi, di fronte ad una sentenza di Strasburgo, i poteri dello Stato cercano una risposta unitaria, da noi si scatena la corsa dei giudici a dire ognuno la sua. Qualcuno parla di «diritto libero», che esalta nel giudice la funzione di creatore più che di interprete della norma.

Ma se salta il sistema dei contrappesi tra poteri dello Stato, se la legge diventa Una, Nessuna e Centomila, perde ogni certezza.

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