Coronavirus

Torna l'ipotesi choc sul virus "Nato in laboratorio in Cina"

Il "Washington Post" rilancia i sospetti su Wuhan. Il capo di Stato maggiore Usa: "Nessuna pista esclusa"

Torna l'ipotesi choc sul virus "Nato in laboratorio in Cina"

Il sospetto che il coronavirus di origine cinese che ha scatenato l'attuale pandemia possa aver avuto origine da un laboratorio nella città di Wuhan è duro a morire, nonostante le ripetute e quasi sdegnate smentite di ambienti scientifici. Un'analisi pubblicata dal Washington Post e ripresa da Forbes rilancia l'ipotesi, di cui la stessa intelligence americana si sta tuttora occupando: lo stesso capo di stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, il generale Mark Milley, ha dichiarato ieri che nessuna pista viene ancora esclusa, anche se appare più probabile un'origine naturale del famigerato Covid-19. Lo stesso presidente Donald Trump, impegnato in una campagna mediatica che mette la Cina nel mirino, ha fin qui preferito evitare di sbilanciarsi. Chi invece si è spinto in là è il capo dello Stato francese Emmanuel Macron, che al Financial Times ha rilanciato i dubbi: in Cina «ci sono chiaramente cose che sono successe che non sappiamo».

L'articolo del columnist Josh Rogin del Washington Post offre comunque spunti di notevole interesse. L'autore aggiorna le informazioni già note (derivanti in massima parte da un articolo pubblicato nel 2015 sulla rivista scientifica Nature) sul laboratorio di ricerca di Wuhan, e afferma che già due anni prima che la pandemia di coronavirus scoppiasse alcuni funzionari dell'ambasciata americana in Cina avevano visitato la struttura che riceveva finanziamenti Usa allo scopo di favorirne la sicurezza più di una volta, e che per due volte avevano deciso di inviare comunicazioni ufficiali a Washington, con le quali si metteva in guardia sul livello inadeguato di sicurezza in quel laboratorio dove venivano condotti «studi rischiosi» su coronavirus provenienti da pipistrelli. Uno dei due cablogrammi che Rogin ha potuto leggere avvertiva le autorità americane che «il lavoro condotto nel laboratorio di Wuhan sui coronavirus dei pipistrelli e la loro potenziale trasmissione all'uomo rappresentavano un rischio di una nuova pandemia simile alla Sars».

Secondo Rogin, già in quel gennaio 2018 gli scienziati americani avevano potuto riscontrare in quel sito scientifico «una grave carenza di tecnici e ricercatori adeguatamente formati per lavorarvi in sicurezza», e raccomandavano di fornire aiuto per garantirla. L'autore precisa che non esistono prove che il Covid-19 sia stato prodotto in laboratorio, e riconosce che una gran maggioranza degli studiosi concorda sulla sua origine animale; questo però non significa insiste Rogin citando il ricercatore dell'Università della California Xiao Qiang che non sia uscito da quel laboratorio di Wuhan, dove per anni sono stati condotti test su animali con coronavirus provenienti da pipistrelli. Anzi, secondo Xiao esistono fondate preoccupazioni anche riguardo a un altro laboratorio di Wuhan, quello del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie: timori che hanno un senso se si considera che ricorda il columnist americano Pechino rifiuta di rispondere alle domande sull'origine del Covid-19, e blocca i tentativi di approfondimento sul possibile ruolo dei due laboratori.

La credibilità cinese sulla vicenda è dubbia: nel mercato del pesce da cui il disastro avrebbe tratto origine non si vendono pipistrelli, e più di un terzo dei primi contagiati non lo aveva frequentato. Secondo Associated Press il presidente Xi risulta che fosse stato informato dei primi «strani casi di polmonite» a Wuhan già il 14 gennaio e che non avesse fatto nulla per bloccare i festeggiamenti in città.

Quando lanciò l'allarme il 20 gennaio era ormai tardi, c'erano già tremila contagiati.

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