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Tradimenti e addii: pronti a tutto per restare a galla

I funamboli dell'opportunismo, i folgorati da Renzi, gli equilibristi della poltrona: alla Camera e in Senato record di cambi di casacca. In nome dell'antico detto: "Che s'ha da fa' pe' campà..."

Tradimenti e addii: pronti a tutto per restare a galla

Non è quella tragica di Bruto e Cassio, la dimensione politica di un Parlamento nel quale s'entra e s'esce dai gruppi come al grand hotel, tanto sono tutti uguali e tutti ugualmente confortevoli. Piuttosto qualcosa di più rassicurante, che il grande Leo Longanesi riassumeva nell'immagine del Tricolore con stemma d'italica gente: Tengo famiglia . Cifra che, volendo considerare evoluzione dei costumi, crescenti difficoltà a sbarcare il lunario, incidenza dei single sul tessuto sociale, potrebbe oggi aggiornarsi in un mercantilistico che s'ha da fa' pe' campà .

Sospiro, più che grido o lamento. Perciò non vale la pena d'indugiare sull'epica figura dell'Angelino adottato ad Arcore, e finito a tessere quotidiane lodi dell'ex nemico di classe Renzi come una Lorenzin qualsiasi. È codesta la stirpe dei Folgorati , cui appartengono molti Ncd, l'ex prodiano Sandro Gozi, la ministro Stefania Giannini, i Settenani Rutelliani all'unisono e persino chi sta dall'altra parte e sa che solo alzando la voce, sparando al bersaglio in maniera esagerata, si può sperare di essere notati e (forse) sopravvivere. Così almeno ci prova da anni Daniele Capezzone, entrato in Forza Italia con belle speranze, ma oggi relegato in una caricatura d'oppositore interno. Come l'ex tesoriere Maurizio Bianconi, dal linguaggio sempre incontinente. Nulla a che vedere con Equilibristi del calibro della minoranza interna al Pd, quelli che strepitano senza mai uscire, o con Funamboli del pensiero come Cesare Damiano, teorico uomo di sinistra, ma impegnato a rendere omaggio al Jobs Act. Gente del livello di un Vincenzo De Luca o un Ciriaco De Mita che, dopo essersi disprezzati e avversati per una vita, ora si sorreggono l'un l'altro come la coppia Matthau-Lemmon per potere, rispettivamente, vincere e galleggiare.

Strada facendo così s'arriva alla categoria dei Vae Victis : gli sconfitti da Renzi che, in piena sindrome di Stoccolma, più vengono tartassati più lo amano. Soprattutto perché non ne possono fare a meno, costituendo ormai per loro una specie di Viagra: cade Lui, cadono loro. Girone infernale cui appartiene anche il primo dei vinti, Lapo Pistelli, che lo ebbe come portaborse insegnandogli i rudimenti del mestiere. Dopo essersi combattuti e detestati, magnanimità renziana ne ha fatto un sottosegretario agli Esteri (forse a vita). Caduto in attesa di resurrezione è Matteo Richetti, protorenziano implicato in un'inchiesta emiliana che ha molto fatto arrabbiare il premier. Renzi l'ha costretto a ritirarsi dalle primarie, Richetti ha fondato una corrente di ultrà renziani. Anche fuori dal perimetro di governo la categoria fa proseliti: da ultimo Manuela Repetti che, uscita da Forza Italia assieme al marito Sandro Bondi, non perde occasione per incensare il premier, ritenendolo addirittura «bersaglio di una cultura catto-comunista» (ma non era il buon Sandro, un vecchio cat-com ?). Altro gruppo di dediti alla pagnotta quotidiana sono i fuoriusciti grillini, gli Spaesati : convinti da Renzi a pentirsi ma non forniti ancora di adeguato «programma di protezione». Hanno il compito ingrato di essere carne da cannone, pacchetto di mischia, nell'illusione di potere un giorno riassaporare le delizie della politica senza scontrini. Numero uno di costoro è Massimo Artini, amico giovanile di Renzi, l'unico che può davvero sperare nell'osso del cane pastore. Sempre che gli altri del gruppo Alternativa libera non sgamino prima la fregatura.

Ma per definire compiutamente quanto si è disposti a cedere in dignità, pur di sopravvivere, occorre pure un'unità di misura. La migliore sul mercato, oggi, è appunto «il» Migliore: Gennaro detto Genny . Prototipo di classe A, specialista arrangiatore di vita politica fin da quando Fausto Bertinotti lo allevò come un figlio, nutrendone le ambizioni fino al punto di fargli abbandonare l'università. Si capiva che il ragazzo aveva stoffa, anche se lui in Rifondazione veniva notato soprattutto per le curatissime stoffe. Durante un viaggio aereo assai engag é, udito in prima persona, Genny riuscì a colloquiare per due ore con analogo rampollo salottiero di scarpe fighe , orologi cult e ogni oggetto di marca all'ultimo grido. Un renziano ante litteram , se vogliamo. Aspetto che ha una sua importanza nel record d'impopolarità riscosso dal Migliore sui social . Un filmato lo ricorda capogruppo di Sel alla Camera, mentre cita Shakespeare e parafrasandolo conclude: «Quello che voi chiamate Italicum , anche con un altro nome ha sempre il non dolce ma pesante olezzo di quello che chiamammo Porcellum !». E inveisce toccandosi narici gonfie d'enfasi: «Perché le leggi si giudicano dall'odoreee!». Purtroppo però il filmato continua, ed ecco il Migliore ultimo grido, fatto nominare da Renzi relatore del medesimo puzzolente Italicum , che quasi sussurra in tv: «Siamo di fronte a un'occasione storica, quella di approvare una buona legge elettorale».

Questione di odore, dunque. Ma anche di decenza e di una categoria, assai ampia negli ultimi tempi, che si definisce dei Penitenziagite . Eretici che reclamano l'agire in penitenza per il proprio riscatto, come fra' Dolcino. Metodo - con qualche precedente nell'Urss di Beria - scelto da Renzi per consentire ai nemici d'un tempo di dimostrarsi degni di Lui. Il penitente s'umilia proprio nella ferita che più gli duole, così da azzerarsi in toto e nel contempo dimostrarsi capace d'ogni cosa. Il campione di categoria è il presidente del Pd, Matteo Orfini, già giovane turco di D'Alema. Dunque ha svolto ottimo tirocinio. Così, quando il vecchio mentore ha alzato la cresta contro il nuovo padrone, il Matteo minore ha latrato pensando di dimostrarsi un buon allievo: «Dispiace che dirigenti importanti per la storia della sinistra usino toni degni di una rissa da bar». Mirabile esempio di Nèmesi orfinica, visto che il giovanotto dichiarava: «Renzi premier? Che follia». Dall'area dalemiana, forse per lo stordimento di quel potente profumo di Arrogance , emergono parecchi dolciniani pronti a tutto. Andrea Romano, per esempio, che nel periodo dalemiano veniva intervistato come storico con neo sulla guancia destra; passato con Rutelli compariva sui giornali come politologo; tradotto sull'Italia futura da Montezemolo dichiarava in qualità di grillo saccente; eletto sul carrozzone di Monti parlava da capogruppo. Dopo un paio di mesi di anticamera nel Misto, Romano è finalmente nelle braccia di Renzi, che ancora non ha deciso come svezzarlo a dovere. Il piccolo storico, temendo l'irrilevanza, non manca di frignare ogni giorno da primo della classe renziana. Dice che l' Italicum è ottimo, il Jobs Act u n miracolo e cose così.

Della categoria non può non far parte Alessandra Moretti, pescata da Bersani in Veneto per smacchiare un partito decrepito e perdente, specie in tv. Così la bella Alessandra è saltata da un talk all'altro, per decantare le meraviglie del suo Giaguaro: «Bersani è come Cary Grant. Chi è più bello tra lui e Renzi? Pier Luigi tutta la vita». Ma una vita è breve assai. Per cui, quando il Capo è caduto, Ale ha immaginato di averne un'altra a disposizione. Addio al salamone felino, addio al marito, conclamata love story con Giletti, e passi a ginocchioni verso il Brut(t)o fiorentino. Che l'ha costretta a dimettersi dal Parlamento con un escamotage perfido: l'ha convinta che in Veneto poteva farcela, che il Pd stravincerà. La Moretti, vistasi in un cul de sac , ha fatto il seguente ragionamento, raccolto nel privé : se vinco, sono governatrice; se perdo, Matteo mi ricandida. Ora prega e lavora, in attesa del riscatto. Stesso stratagemma Renzi ha usato con Pina Picierno, una che gli sta cordialmente antipatica fin dai tempi in cui, a furia di sparar cazzate sui divanetti di Montecitorio, era diventata amica delle giornaliste che dettano strategie agli sprovveduti sui divanetti del Transatlantico. Lei pensava d'esser diventata un pezzo grosso, a furia d'uscite su giornali importanti. Le sue cazzate arrivavano per intervista o tweet del tipo: «Qualcuno dica a Renzi che l'Onu ha appena stabilito che deve studiare». Oppure: «Mi avvicino alla fase finale in punta di piedi dice Renzi. E che piedi c'hai scusa, Matte'?». Roba tra il goliardico e il fastidioso, fino al fatidico: «Ma Renzi per chi ci ha preso, per Renziani?!». Neppure un anno più tardi, ecco la fastidiosa Picierno sui i gradini del Nazareno ginocchioni sui fagioli. Dichiara a più non posso, cerca sponde in ogni dove, alla fine Renzi l'ammette a corte. A un patto: ho bisogno di te alle Europee. Lasci il posto alla Camera e vai a Strasburgo a studiare. Ora è lì che fa impazzire i traduttori simultanei con la sua parlata da casertana di provincia, per di più specializzata nel linguaggio dell'uomo che considera il proprio mito.

De Mita.

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