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La "trappola" cassette tra patrimoniale e riciclaggio di Stato

L'idea leghista, copiata dal Pd, è far emergere i contanti. Rischio flop senza lo scudo penale

La "trappola" cassette tra patrimoniale e riciclaggio di Stato

Sembrava fosse una patrimoniale e, invece, era un condono, per altro «copiato» dal Pd. Ieri il vicepremier Matteo Salvini ha chiarito la portata delle dichiarazioni di martedì sera a Porta a porta sulla possibilità di «far pagare un'imposta e restituire il diritto a riutilizzare» i soldi depositati nelle cassette di sicurezza. L'equivoco è stato successivamente chiarito dallo stesso leader del Carroccio che, ovviamente, se l'è presa con il Giornale, «reo» di aver ipotizzato una nuova imposta sui patrimoni in base a quanto affermato in precedenza. «O è gente che non capisce o è gente in malafede», ha detto il ministro dell'Interno, precisando che «sto parlando di far emergere quello che oggi non è emerso, come per la pace fiscale per le cartelle esattoriali» che ha portato in luce 38 miliardi di debiti non pagati.

La prospettiva, dunque, è meno confusa: Salvini vuole promuovere una voluntary disclosure sul contante, proprio come il governo Renzi prima e quello Gentiloni poi. «Ci sono miliardi di euro di denaro contante presenti in Italia e oggi non circolante. Li teniamo nascosti o facciamo in modo che emergano?», la domanda retorica del vicepremier il quale ha ribadito che «condono non è una parolaccia».

Occorre precisare, tuttavia, che c'è «condono» e «condono». Se i debiti fiscali non pagati o, come accaduto in anni precedenti, gli abusi edilizi sanati fanno parte del vasto catalogo della storia economica italiana, altro discorso è la dichiarazione volontaria di emersione. Il Capitano ha messo le mani avanti e ha specificato che la materia del contendere sono «guadagni lecitamente ottenuti» e «soldi tenuti sotto il materasso». Dunque, sarebbero da escludere a priori i proventi riciclati di attività illecite come il traffico di droga o di armi e la prostituzione.

A questo punto, tuttavia, è lecito riportare le parole della capogruppo di Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelmini. «L'idea di considerare il detentore di una cassetta di sicurezza un presunto evasore è roba da stato di polizia fiscale, altro discorso è sanare eventuali irregolarità», ha commentato. Perché più ci si addentra nella materia, più l'equivoco iniziale salviniano si ripropone uguale a se stesso.

Torniamo indietro alla voluntary bis di Renzi del 2016 e a quella ipotizzata da Gentiloni nel 2017. L'ex premier fiorentino, visto il successo della prima edizione, estese la nuova sanatoria anche al contante nelle cassette. L'idea era regolarizzarlo ad aliquota fissa (il 35%), ma il progetto saltò e restò l'aliquota marginale meno conveniente. Era l'impianto, però, a fare acqua: bisognava, infatti, dichiarare che il denaro provenisse da reati fiscali (evasione), far aprire la cassetta in presenza di un notaio e depositare le somme presso un conto vincolato. Se l'Agenzia delle entrate avesse riscontrato irregolarità, sarebbe saltato tutto. Fu un grande flop. I reati fiscali, infatti, sono perseguibili anche sotto il profilo dell'autoriciclaggio che punisce il trasferimento e la sostituzione di denaro «proveniente da delitto non colposo», dunque anche l'evasione.

Nel 2017 Gentiloni pensò di riproporre il meccanismo con aliquote più leggere e l'obbligo di reinvestire la rimanenza in bond e titoli di Stato. Stessa idea per la Lega la scorsa estate: aliquote della flat tax per i professionisti (15 e 20%) e obbligo di investimento nei Pir, i piani individuali di risparmio che finanziano il made in Italy e, se tenuti per 5 anni, non pagano il 27% sui proventi.

La sinistra Pd prima e l'M5s poi hanno fatto saltare tutto. Il problema, infatti, è sempre lo stesso. Senza scudo penale almeno sull'autoriciclaggio non c'è nessuna convenienza ad aderire.

Quei 50 miliardi che si stima siano in custodia potrebbero non saltare mai fuori anche se farebbero comodo.

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