Cronache

Le trasgressioni di Corona condannate più di un omicidio

Trattati meglio di lui perfino Kabobo e il rapitore di Tommy. I nostri magistrati giudicano più la morale che la violenza reale

Le trasgressioni di Corona condannate più di un omicidio

Mentre Mario Alessi, colpevole di sequestro di persona, rapina e stupro, ha potuto aspettare il terzo grado di giudizio in semilibertà nonostante l'evidenza della prova, la flagranza di reato e la pericolosità sociale, e durante quella semilibertà ha potuto uccidere il piccolo Tommaso Onofri; mentre un uomo che infila un coltello per quattro volte nel corpo di una donna che si salva da quell'aggressione, può scontare la pena ai domiciliari, non controllato, da dove un anno dopo può uccidere quella stessa donna, Emiliana Femiano, con ben sessantasei coltellate; mentre un rom pregiudicato, con nel curriculum spaccio, sparatorie e violenze, è stato lasciato libero di uccidere il giovane Domenico Rigante; mentre un pedofilo può uscire dal carcere dopo meno di due anni per buona condotta e andare a vivere nello stesso palazzo della sua vittima Fabriczio Corona sta in carcere.

Secondo la Corte di cassazione lui è «socialmente pericoloso». Ed evidentemente lo è più di tutti gli altri. Secondo la Corte Suprema «le frequentazioni criminali e gli atteggiamenti fastidiosamente inclini alla violazione di ogni regola di civile convivenza», i «numerosi e cospicui precedenti penali», «la ricerca ad ogni costo di facili guadagni e le condotte prive di scrupoli volte ad accaparrare risorse da investire in un tenore di vita lussuoso e ricercato», vanno condannate con il massimo rigore. Niente sconti per Corona! Ma facciamo un passo indietro. Fabrizio Corona è rinchiuso dal marzo del 2013. Mentre scrivo si trova nel carcere di massima sicurezza di Opera, condannato in via definitiva per estorsione nei confronti dell'ex calciatore della Juventus David Trezeguet e altri reati quali, si legge in sentenza, «estorsioni, ricettazione e spendita di carta moneta falsificata, reati fallimentari, evasioni fiscali, recenti denunce per truffa». Pena aumentata per evasione, perché Corona, alla notizia della condanna, è scappato in Portogallo, dando l'ennesima prova del suo stile di vita «contro». Contro tutto, perfino contro se stesso. Fabrizio, lo ammette anche lui, ha sbagliato, ha commesso dei reati gravi per cui si va anche in carcere, perché se evadi non sei furbo, sei uno che ruba anche a me che pago le tasse; se ricatti una persona per ottenere denaro illecito sei un criminale che usa la vita degli altri per arricchirsi. Devi pagare un prezzo alla società, perché le regole di convivenza civile vanno rispettate. Sempre. Anche quelle che non ti piacciono. E lo dico con affetto verso di lui, di cui conosco anche quel lato buono che mostra solo agli amici, perché forse non è funzionale al successo come lo intende la società di oggi, dove bontà e onestà non sempre pagano. Certo non portano alla notorietà a cui molti ambiscono, anche per i soli «quindici minuti» dopo i quali si ripiomba nel vuoto che diventa ancora più profondo. Inquietante. Perché sono «quindici minuti», o anche «un'ora», di nulla. Corona dal carcere scrive che combatterà fino alla morte quella che ritiene un'ingiustizia. Che lì dentro sta male. Un male amplificato dalla sproporzione della sua condanna rispetto alle altre. Un'ingiustizia. Durante la sua prigionia però si è guardato allo specchio facendosi delle domande: «Possibile che alla tua età non abbia ancora capito e apprezzato i veri valori della vita? Sei così effimero, così superficiale? Davvero vuoi sprecare la tua vita così? Tra sesso, droga, rock'n'roll, sentimenti “patinati” opportunistici e fasulli? Non ci credo. Quanto tempo dovrai stare in carcere per capire quello che veramente stai perdendo? Credi di essere immortale?». Chi opera nel sistema giudiziario si è interrogato? Si è chiesto, per esempio, perché i delitti contro la persona sono perseguiti con meno forza, meno determinazione, meno «violenza» rispetto a quelli contro il patrimonio? Si è chiesto che cosa non va in un sistema che applica la condizionale a chi ammazza e lascia liberi pluripregiudicati della peggior specie, che spesso premia addirittura i serial killer, e invece condanna al carcere ostativo un Corona al quale non sono concessi neanche i domiciliari? Fabrizio Corona ha incarnato la società di oggi. In lui si sono resi solidi la superficialità, il consumismo sfrenato, la sfrontatezza, il non rispetto delle regole, il deliro della trasgressione, della sfida all'autorità, l'amore per il denaro, per la vacuità. E tutto questo, in qualche modo, è stato condannato insieme a lui. E va bene. Solo che mentre lui è in carcere, ciò che incarna continua a circolare e non solo tra i giovani, ma anche tra chi, nel sistema giudiziario e politico, permette che la giustizia diventi «squilibrizia». In Italia tutto può succedere. A fronte di un Corona in carcere abbiamo un Kabobo massacratore di inermi passanti. La giustizia civile, come quella sociale del resto, è altrettanto squilibrata. Un sistema, questo, di fronte al quale i cittadini si trovano spaesati e soli.

Che t'inghiotte e squarcia ogni minima certezza, catapultandoti nel buio assoluto.

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