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Tre pareri pro Berlusconi: doveva restare senatore

Mercoledì l'udienza a Strasburgo. Un pool di studiosi smonta la Severino: non poteva essere retroattiva

Tre pareri pro Berlusconi: doveva restare senatore

Tre pareri autorevoli per tre principi calpestati dalla legge Severino e dalla sua frettolosa applicazione. Tre assist importantissimi per gli avvocati di Silvio Berlusconi che mercoledì prossimo giocherà le proprie carte davanti alla Corte di Strasburgo. E cercherà di dimostrare che la decadenza da senatore, decisa da Palazzo Madama nel 2013 dopo la condanna definitiva per frode fiscale, non sta in piedi e dev'essere cancellata. Non regge la Severino, ma non convince nemmeno il modo in cui il Senato l'ha applicata, espellendo Berlusconi, e pone seri dubbi anche il fatto che a Berlusconi sia stata negata qualunque forma di contraddittorio sul provvedimento davanti a un giudice.

Tre concetti, tre frecce nella faretra del pool di avvocati, guidato dai professori Bruno Nascimbene e Andrea Saccucci. I due luminari hanno chiesto un supporto giuridico al Doughty Street Chambers di Londra, lo studio in cui lavora la moglie di George Clooney, Amal Alamuddin, una formidabile macchina da guerra nella difesa dei diritti umani, ma hanno fatto di più: hanno chiesto tre pareri a tre studiosi di rango. E a sorpresa Didier Maus, Peter Nobel, e Jean Paul Costa hanno sposato le ragioni del Cavaliere. Costa, francese, è addirittura, come anticipato ieri dal Corriere della sera, l'ex presidente della corte dei diritti umani, ma anche gli altri due vantano un curriculum di livello internazionale: Peter Nobel è avvocato a Zurigo e professore emerito all'università di San Gallo, Didier Maus è presidente emerito dell'Associazione internazionale di diritto costituzionale.

Tutti e tre sconfessano l'interpretazione che in Italia è stata data della Severino per far quadrare i conti e buttare fuori dall'arena il Cavaliere: la sanzione della decadenza, introdotta dalla norma e poi «fotocopiata» dall'assemblea di Palazzo Madama, ha natura penale e dunque non può essere applicata retroattivamente. L'Italia invece si è aggrappata ad un problematico distinguo, sostenendo che la sanzione rientri nel campo amministrativo e possa dunque superare le obiezioni di carattere giuridico.

Non è così. Per Maus il decreto Severino è una «norma di diritto penale indiretta» e dunque la sua applicazione retroattiva non ha base legale: Berlusconi non poteva prevedere che un decreto, adottato successivamente ai fatti per i quali è stato condannato, avrebbe viziato la sua candidabilità e portato alla sua decadenza dal Senato.

Nobel va, se possibile, ancora più in profondità, tagliando la testa al toro di estenuanti dispute nominalistiche sul tema. La decadenza ha una struttura punitivo-afflittiva e dunque ha una valenza penale, almeno se valutata sui parametri stabiliti all'articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Insomma, il carattere afflittivo della sanzione fa capire che ci muoviamo nel perimetro del codice penale, anche se in Italia politici e giudici pattinano sulle parole e si ostinano a catalogare insindacabilità e decadenza da un'altra parte. Del resto, la giurisprudenza della Corte va in questa direzione e sarebbe singolare un cambiamento di linea proprio in questa, delicatissima occasione.

Ma c'è anche altro. Nobel, Maus e Costa toccano almeno altri due punti infiammati: le modalità con cui il Senato ha deciso e il divieto di ricorrere ad un giudice dopo questa pronuncia. Per Maus il Senato ha apertamente disatteso il proprio regolamento interno laddove prevede che il voto sulla decadenza di un proprio membro debba avvenire a scrutinio segreto. Invece, con un blitz orchestrato dal presidente Piero Grasso, la giunta per il regolamento stabilì il voto a scrutinio palese, decretando di fatto il destino del Cavaliere.

Infine i superconsulenti sottolineano un altro profilo assai discutibile nell'iter seguito: contro la decisione del Senato, Berlusconi non ha potuto opporre «alcun rimedio giurisdizionale», come lo chiamano i tecnici del diritto. Nessuna possibilità, ad esempio, di andare davanti alla Corte costituzionale per provare a rovesciare la pronuncia. Game over, sentenziò Renzi, e game over fu. Ma anche questo drammatico passaggio viene bocciato dai professori.

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