Cronache

Treviso «conquistata» da 80mila alpini

Marce, orgoglio e spritz: la città in festa celebra lo spirito delle penne nere

Treviso «conquistata» da 80mila alpini

nostro inviato a Treviso

La città è un gigantesco accampamento. Le tende nascondono i giardini pubblici, i parcheggi sono requisiti da camper e roulotte, c'è chi dorme in auto lungo la circonvallazione. Treviso è trasformata, senza auto né bus, senza mercato, posseduta dallo tsunami di penne nere che ha invaso la città a ondate. L'accoglienza è di cuore, i disagi vengono sopportati, per tre giorni tutti sono alpini. Oggi per la sfilata ne arriveranno 80mila ma il grosso sembra già qui, nella zona di ammassamento, nelle strade del centro, lungo i viali. Non c'è casa o negozio senza tricolore, anche le boutique più raffinate si sono munite di panche, affettatrici di soppressa e fusti di vino da spillare. E chi si limita alla birra non sa quanti clienti si perde.

Il merchandising militare s'incontra a ogni svolta, compresi i blindati dell'esercito su cui fare salire i bambini, e gli angoli con camionette e sidecar militari da fotografare. I baracchini più affollati restano comunque quelli con la grappa e gli spriz. Le griglie spandono aromi di salamelle dall'ora di colazione. Le tendopoli sono delimitate da schiere di bottiglie vuote. Ma a sera la città non è un tappeto di rifiuti. «Guardi qua esclama l'ex presidente dell'Associazione nazionale alpini Beppe Parazzini chiunque altro avrebbe lasciato disastri. Negli alpini anche l'ultimo dei buoni a nulla fa cose egregie perché viene valorizzato. Noi siamo un argine alla cultura individualistica di oggi».

Va in scena la grande sagra popolare d'Italia, la più alcolica, la più partecipata, la più amata. Oggi saranno tutti richiamati all'ordine. All'alba giù dalla branda, ammassamento nelle zone assegnate alle varie sezioni, attesa paziente sotto il sole (ieri sembrava luglio) dell'orario di sfilata, marcia attraverso Treviso e solo nel tardo pomeriggio il rompete le righe. Nulla può infrangere la ferrea organizzazione militare alpina, nulla rovinerà la loro festa annuale. Ma il folclore è solo un aspetto dell'Adunata, e pure secondario. In questi giorni la gente è andata sulle rive del Piave (che qui però è chiamato «la» Piave, come una madre), ha visitato Vittorio Veneto, Conegliano, il Montello, le cento località che cent'anni fa furono l'estrema trincea contro gli austriaci. Gli alpini hanno allestito sette mostre in città, dalla storia della Serenissima alla Grande guerra raccontata ai ragazzi. Ieri sera la rassegna Note di notte ha portato cori e canti di montagna in 10 piazze di Treviso.

L'Adunata vuole documentare tutti gli aspetti della vita alpina per fare rivivere il passato. Ma i protagonisti restano loro, le penne nere di oggi, i soldati delle vette, il volto indurito ma umano della vita militare. Gente che non impugna più le armi ma scatta quando c'è da portare soccorso o da difendere memorie sbiadite. Ogni faccia una storia. Come quella di chi ha lasciato l'Italia per cercare fortuna all'estero ma non può lasciare il cappello con la piuma. Il bergamasco Tullio Ferro ha 81 anni e da 50 fa il costruttore edile in Sudafrica. Presiede la sezione degli alpini di quel Paese e ogni anno, oltre che festeggiare il Corpo nella baita di Johannesburg e il 4 Novembre, rende onore al cimitero di guerra che accoglie i morti del campo di prigionia di Zonderwater, dove gli alleati deportarono in nave italiani e tedeschi catturati nella Campagna d'Africa.

Giuseppe Querin, trevigiano di Oderzo, anch'egli costruttore edile, è il coordinatore degli alpini d'Australia, dove operano addirittura nove sezioni con 400 penne nere. A Sydney ci sono una baita, un museo alpino e una chiesetta: «Dall'Italia racconta ci hanno regalato una meravigliosa campana in bronzo. Ma siccome è troppo bella e volevamo che i nostri la vedessero, l'abbiamo smontata, rovesciata e la portiamo in giro quando raccogliamo soldi per solidarietà. Abbiamo appena inviato 20mila dollari all'Ana per i terremotati. Gli alpini d'Australia fanno conoscere l'Italia a quel Paese dove arriva gente di tutto il mondo, testimoniamo la voglia di non sparire e di trasmettere i nostri valori.

A cominciare dai nostri figli e dai nostri nipoti».

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