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Tria si arrende ai gialloverdi. E il deficit cresce al 2,4%

Il ministro messo alle strette da Lega e M5s: o cede o va via Salvini e Di Maio esultano: manovra del cambiamento

Tria si arrende ai gialloverdi. E il deficit cresce al 2,4%

«Abbiamo portato a casa la manovra del popolo che per la prima volta nella storia di questo Paese cancella la povertà». Luigi Di Maio, al termine del vertice di maggioranza sulla Nota di aggiornamento del Def, esulta per aver piegato la resistenza del ministro dell'Economia, Giovanni Tria. Come ha spiegato l'altro vicepremier Matteo Salvini «l'accordo è stato raggiunto con tutto il governo», anche con il titolare del dicastero di Via XX Settembre.

Che l'aria fosse cambiata rispetto al giorno precedente lo aveva fatto intendere già il leader del Carroccio parlando in mattinata a Tunisi. «Il diritto al lavoro, alla felicità di milioni di italiani val bene qualche numerino», aveva dichiarato. «Se Tria non è più nel progetto, troveremo un altro ministro», aveva spiegato il capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, aggiungendo che «un 2,4-2,6% di deficit non è una tragedia». Lo stesso Di Maio aveva precisato che «non mi preoccupa l'interlocuzione con l'Ue perché le politiche di austerità sono superate» e che «è inutile tirare a campare come governo, io non sarò mai tra quelli che porteranno questo governo a tirare a campare, o si fanno le cose o non ne vale la pena di continuare».

Il ministro dell'Economia, nel pomeriggio ne aveva discusso con il premier Conte, tornato dall'assemblea dell'Onu di New York, cercando di tenere ferma quanto meno il proposito di alzare parzialmente l'asticella del deficit all'1,9%, tre decimali di punto in più rispetto alle stime iniziali che tenevano conto di peggioramento del quadro macroeconomico e del disinnesco delle clausole di salvaguardia. Lasciato Palazzo Chigi, il ministro era ritornato a Via XX Settembre in attesa degli esiti del vertice politico tra Di Maio, Salvini e il premier per rielaborare le stime.

Poco dopo le 19 è iniziato il vertice finale al quale Tria si è presentato dapprima con una proposta di alzare il deficit/Pil al 2%, poi al 2,1 venendo sempre respinto con perdite. «O cede o cede» avevano fatto sapere i due vicepremier facendo filtrare il primo segnale di resa del titolare del Tesoro: il finanziamento del reddito di cittadinanza accompagnato, però, da un sostanziale stop alla riforma della legge Fornero. L'intransigenza dei due dioscuri è stata totale e, alla fine, il ministro non avendo alcuna sponda politica all'interno dell'esecutivo ha dovuto alzare bandiera bianca.

È finita quindi con Di Maio che ha annunciato trionfante: «Per la prima volta lo Stato è dalla parte dei cittadini, per la prima volta non toglie ma dà». Dalla minaccia della crisi all'affacciarsi sul balcone di Palazzo Chigi davanti a una pattuglia di parlamentari pentastellati festanti con la bandiera del Movimento. «Sono felice: insieme abbiamo dimostrato che cambiare il Paese si può e che i soldi ci sono», ha aggiunto Di Maio spiegando che «nella Manovra del Popolo abbiamo inserito anche la pensione di cittadinanza che restituisce dignità ai pensionati. E con il superamento della Fornero, chi ha lavorato una vita può finalmente andare in pensione liberando posti di lavoro per i nostri giovani, non più costretti a lasciare il nostro Paese per avere un'opportunità».

Il silenzio nel quale si è rinchiuso il ministro Tria chiudendo i canali di comunicazione del ministero dell'Economia sono comunque significativi della difficoltà e dell'imbarazzo nel quale è stato posto il ministro più rappresentativo e importante del governo.

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