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Trionfo Orban e ultradestra. L'Ue prepara il primo siluro

«Fidesz» vicino ai due terzi dei seggi, «Jobbik» al 20% E Bruxelles discuterà l'ipotesi di richiamo ufficiale

Trionfo Orban e ultradestra. L'Ue prepara il primo siluro

Alla fine i risultati ufficiali (che saranno integrati solo tra una settimana dai dati relativi ai 200mila elettori magiari all'estero) premiano Viktor Orbàn oltre le previsioni e oltre i dati di quattro anni fa. Con un'affluenza record al 70%, il partito Fidesz sfiora il 49% dei suffragi e sembra in grado di assicurarsi ancora una volta la maggioranza dei due terzi in Parlamento necessaria per apportare le modifiche alla Costituzione che in campagna elettorale aveva promesso di rendere «irreversibili».

Ai suoi avversari di destra e di sinistra, Orbàn ha lasciato solo le briciole: l'estrema destra nazionalista del partito Jobbik conferma il suo comunque cospicuo 20%, mentre i socialisti un tempo egemoni e distrutti dagli scandali di corruzione racimolano un magro 12%, utile solo a tenere a distanza i verdi fermi al 7%. Sconfitte e mancati successi mietono vittime illustri: il leader di Jobbik Gàbor Vona si è dimesso («Speravamo di crescere per dare un altro governo all'Ungheria, ma non ci siamo riusciti»), e quello socialista Gyula Molnar promette che farà lo stesso.

Orbàn è dunque sempre più padrone dell'Ungheria, e l'indiscutibile consenso di cui gode fa di lui un punto di riferimento per le altre destre sovraniste d'Europa. Salutando i suoi sostenitori, l'inventore della «democrazia illiberale» ha assicurato che la sua rotonda vittoria si tradurrà per i magiari in una opportunità di «difendere se stessi e l'Ungheria». Questo significa da una parte continuare le politiche economiche e sociali «di destra» che hanno risollevato le condizioni medie dei cittadini, dall'altra accentuare ulteriormente la contrapposizione con l'«Europa dei burocrati» con l'ambizioso obiettivo di cambiarla. Orbàn non si stanca di ripetere che l'Europa «non è a Bruxelles, ma è a Budapest, a Parigi, a Berlino, a Varsavia: vogliamo un'Unione forte e di successo, ma non ci stancheremo di denunciare ciò che non ci piace».

Una cosa altrettanto certa è che Orbàn non piace a Bruxelles. La reazione del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker alla sua vittoria è un capolavoro di equilibrismo verbale: «Il popolo ungherese si è espresso ieri. L'Unione Europea è un'unione di democrazie e di valori: io e la Commissione pensiamo che la difesa di questi valori e principi sia un dovere comune di tutti gli Stati membri senza eccezioni». Già oggi Juncker telefonerà a Orbàn per «discutere temi di comune interesse».

E certamente è molto significativo il fatto che giovedì si riunirà a Bruxelles la Commissione Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni per discutere, alla luce del risultato elettorale magiaro, se l'Ungheria non rischi di «violare seriamente i valori dell'Unione Europea» e addirittura per valutare se l'Europarlamento non debba «chiedere al Consiglio di agire in base all'articolo 7 del Trattato Ue». Questo articolo attribuisce al Consiglio Europeo il potere di rivolgere «appropriate raccomandazioni» a un Paese membro sospettato di non rispettare «i principi comuni di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello Stato di diritto».

Il riferimento è ai contenuti di certe politiche di Orbàn come le limitazioni poste all'indipendenza della magistratura o un controllo troppo esteso sui mezzi di comunicazione, ma anche alle critiche rivolte dall'Osce alle modalità di svolgimento delle elezioni di domenica in Ungheria, dove le condizioni del dibattito non sarebbero state abbastanza eque.

È l'altra faccia del trionfo di Orbàn, che non preoccupa minimamente i sovranisti europei, a partire da quelli italiani come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, entusiasti come la francese Marine Le Pen e l'olandese Geert Wilders.

Ma anche il ministro dell'Interno tedesco Horst Seehofer, esponente della Csu bavarese che condivide con Fidesz la volontà di limitare l'immigrazione, si congratula e invita l'Europa a smetterla di mostrarsi «arrogante e condiscendente» verso i piccoli Paesi membri come l'Ungheria.

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