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"Troppo pessimismo diffuso. L'Italia non è così in declino"

L'ex ministro dell'Economia: "Significativa la quantità di spot tv. Nessuno fa pubblicità se sa di non vendere"

"Troppo pessimismo diffuso. L'Italia non è così in declino"

«Se uno guarda l'Italia vede che ci sono elementi positivi non solo negativi. C'è, per contro, purtroppo un eccesso di pessimismo soprattutto nei documenti ufficiali e nella retorica declinista che li ispira. Documenti che sono ispirati dall'interesse a presentare la nuova azione politica come salvifica e basati su di una metrica convenzionale datata, una metrica inventata decenni fa per misurare un mondo che non c'è più. Nei documenti ufficiali c'è, e dipinto quasi con compiacimento, lo scenario di un paese che peggiora rispetto agli altri paesi e peggiora rispetto a se stesso».

È questa la visione dello scenario italiano tratteggiato da Giulio Tremonti, già ministro dell'Economia e presidente dell'Aspen Istitute Italia. Senza contare i quarant'anni di libri, attività molteplici e con una peculiarità che lo contraddistingue: la libera osservazione critica dei meccanismi che s'innestano nel creato.

Professore, che cosa sta accadendo davvero in Italia, possiamo auspicare quella crescita necessaria a ripartire dignitosamente?

«Mi permetta di essere berlusconiano e per me in questi termini è un onore. Partiamo dalla pubblicità in televisione e in questa cerchiamo una metrica della realtà più credibile di quelle sviluppate negli uffici studi. Perché la pubblicità in televisione è significativa? Perché nessuno paga per reclamizzare i suoi prodotti, i suoi servizi senza un riscontro nella realtà, senza un ritorno dalla realtà. Su questa base possiamo fare un doppio esercizio. Primo: confrontiamo la nostra pubblicità con quella che si fa negli altri paesi europei. Non è certo peggiore, anzi. Secondo esercizio: confrontiamo la pubblicità di oggi con quella che c'era 10 anni o 20 anni fa. Dalle automobili all'abbigliamento, dall'alimentare all'estetica fino alla sanità è del tutto evidente che non siamo andati indietro come dicono i declinisti. È vero l'opposto. Piuttosto, c'è un dato di enorme rilievo che viene ignorato sistematicamente: l'Italia è in Europa l'unico paese davvero duale. Basta guardare le immagini notturne di google maps per verificarlo: il centronord brilla come la parte nord dell'Europa, la mitica parte anseatica e, se c'è luce c'è Pil! È nel sud che l'illuminazione manca ed è qui che va fatto il Pil. Quello che gli uffici studi non rilevano è che le medie italiane non sono mediane!».

Professore, non solo l'Italia anche l'Occidente ancor prima di essere travolto dalla pandemia stava entrando in crisi. Quali sono stati gli errori commessi?

«Con la crisi finanziaria del 2008 prima e oggi, con la pandemia, aveva inizio la crisi della globalizzazione, la proiezione del mondo spinta dal Wto verso l'utopia della fine della storia e del principio dell'età dell'oro. Nel 2009 il governo italiano propose e fu votato dall'Ocse un trattato che conteneva regole per l'economia. Si chiamava Global Legal Standard. L'idea fu battuta dalla finanza che non voleva regole per l'economia ma solo qualche criterio per la finanza. Fu l'effimero trionfo del Financial Stability Board. Il trionfo di Creso sulla politica. Eppure all'articolo 4 del Gls c'erano regole per l'ambiente e l'igiene. Le dice niente oggi con la pandemia? Sulla pandemia è stato scritto che sarebbe stata una tragedia umana di proporzioni bibliche. Una tragedia umana, è vero, ma la Bibbia contiene molto di più. È un magazzino di miti e di leggende che indicano le svolte nella storia: il diluvio universale, la cacciata dal paradiso terrestre. Il mito biblico più adatto a rappresentare quello che è successo è il mito della Torre di Babele: gli uomini si uniscono per costruire insieme una torre che nella sua altezza sfida la divinità. La divinità reagisce e priva l'umanità della lingua unica. Attualizzando: pensiero unico. La pandemia ha hakerato il software della globalizzazione, ne ha rotto il meccano mentale, tutto positivo e progressivo».

E il nuovo mondo che aspetto ha?

«Per effetto della crisi finanziaria prima e per effetto della pandemia sta terminando il mondo globale, il mondo del Wto, sviluppato su di una unica geografia mercantile piana. Il mondo sta ritornando all'internazione dal globale. Sulla vecchia superficie piana si vedono fratture, faglie, linee di confronto e conflitto. In alcuni documenti ufficiali si parla direttamente di guerra fredda. Certo è che la storia, che doveva essere finita, sta tornando con il carico degli interessi arretrati e accompagnata dalla geografia: sempre più evidente il confronto tra occidente e Cina, il Pacifico ci si presenta meno pacifico. E come mi è capitato di scrivere tanti anni fa il luogo del confronto si sta spostando verso le rotte artiche».

Quali effetti subirà l'Italia?

«Tanti. Un primo effetto è per esempio, quello prodotto dallo squilibrio violento che si vede nel mercato delle materie prime. Prenda il nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza. Si vuole digitalizzare ed è giusto, è strategico per il sud, ma anche la Cina si sta digitalizzando nella sua enorme area centrale ed è per questo che si è accaparrata il rame e che cresce il prezzo del rame. E poi gli effetti già evidenti dell'inflazione. Tutta la più recente architettura politica dell'Europa è basata sull'ipotesi dell'inflazione zero o sottozero: la prassi contemporanea più di successo è la prassi del debito gratuito, sostenibile, in una parola buono».

Ma si riuscirà a portare a termini tutti gli investimenti in programma nel Pnrr?

«È fortemente sperabile, non è detto che sia del tutto probabile».

Allora, quale alternativa ci potremmo aspettare?

«Quando la storia fa una delle sue svolte improvvise dietro l'angolo ci puoi trovare il bene ma anche il male, gli angeli ma anche i demoni.

Non escluderei lo scenario della danza sull'orlo dell'abisso».

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