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Trump attacca i media Il dossier a luci rosse voluto dai repubblicani

Per il «New York Times» le informazioni raccolte su ordine di un finanziatore del Gop

Trump attacca i media Il dossier a luci rosse voluto dai repubblicani

New York Si tinge di giallo la vicenda del dossier scandalo su Donald Trump che parla di informazioni scottanti - tra affari loschi e festini hard - e gli sta creando non poco imbarazzo a una settimana esatta dall'insediamento alla Casa Bianca. Il presidente in pectore si è scagliato contro l'intelligence e contro i media per la divulgazione delle informazioni non verificate ma potenzialmente esplosive che sarebbero in mano al Cremlino, ora però emergono nuovi dettagli, secondo cui tutto sarebbe nato dall'iniziativa di un donatore del partito repubblicano. Da quanto scrive il New York Times, infatti, a commissionare la raccolta di notizie compromettenti su Trump sarebbe stato un ricco finanziatore del Grand Old Party che voleva impedire l'ascesa del re del mattone verso la nomination e Pennsylvania Avenue.

Nel settembre 2015 - spiega il quotidiano newyorkese - questa persona influente, di cui non viene rivelato il nome, fu la prima a incaricare una società di Washington, la Fusion Gps, guidata dall'ex giornalista del Wall Street Journal Glenn Simpson, con l'obiettivo di cercare prove che mettessero in imbarazzo The Donald. Simpson a sua volta assunse l'ex agente segreto britannico Christopher Steele, ora direttore di una società privata di intelligence a Londra, che materialmente ha compilato il dossier.

Gli 007 Usa, intanto, si difendono dalle accuse del tycoon: il capo delle agenzie di spionaggio americane, James Clapper, sostiene che l'intelligence non ha nulla a che fare con il dossier e la fuga di notizie. Clapper dice di essere «profondamente costernato» per la pubblicazione del documento e rivela di aver parlato al telefono con il presidente eletto per sottolineargli che «le carte non sono un prodotto degli 007 americani» e la fuga di notizie «è corrosiva e dannosa per la sicurezza nazionale». Il tutto mentre gli uomini del neo Commander in Chief correggono il tiro sulla Russia: il nuovo capo del Pentagono, generale James Mattis, la definisce attualmente la più grande minaccia per la Nato, il prossimo capo della Cia, Mike Pompeo, dice che Mosca dovrebbe essere ritenuta responsabile per la sua intrusione nella processo elettorale americano. E anche il neo segretario di Stato, Rex Tillerson, parla della Russia come di un pericolo dopo l'invasione della Crimea.

Nel frattempo rispunta Rudy Giuliani, l'ex sindaco di New York fedelissimo di Trump già candidato per il ruolo di segretario di stato. Giuliani è stato scelto per guidare una task force che si occuperà della sicurezza informatica, questione chiave per la squadra di governo del re del mattone, con un focus sulle sfide per le aziende. Ad annunciarlo il transition team di Trump, precisando che «condividerà la sua esperienza e conoscenza come un amico fidato» in materia di difesa dai cyber attacchi. L'ex primo cittadino guiderà una squadra di esperti del mondo aziendale forte della sua «carriera lunga e di grande successo nell'applicazione della legge, e del suo lavoro in materia da oltre 16 anni nel settore privato».

E a sette giorni dall'Inauguration Day fervono i preparativi a Washington, dove le enormi misure di sicurezza decise anche a causa delle manifestazioni di protesta in programma durante l'insediamento di Trump rischiano di paralizzare completamente la capitale.

Le stime affermano che i visitatori dovrebbero essere molti di meno rispetto ai 1,8 milioni accorsi a Dc per Barack Obama nel 2009, ma il timore è per la sicurezza, anche visto l'enorme numero di manifestanti anti Trump che potrebbero arrivare a 750mila persone.

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